[Ia di Quaresima – 10 marzo]
Dopo aver riportato la genealogia di Gesù (Lc 3,21-37), l’evangelista presenta il Signore «pieno di Spirito Santo» che dal Giordano viene condotto nel deserto. Si sottolinea come Gesù sia «guidato dalla Spirito». Prima di iniziare la missione pubblica Gesù è come sottoposto ad un “test”: di fatto questo “test” accompagna Gesù per tutta la vita.
Nella scena domina il tema del «deserto», senza alcuna determinazione geografica. Gesù nel “deserto” è tentato: il Signore è sottoposto alla prova della sua figliolanza divina, alla verifica dell’obbedienza al Padre. L’esperienza della tentazione non appartiene solo all’inizio del ministero, bensì accompagna la predicazione di Gesù fino all’ora prefissata.
- Il «digiuno nel deserto» appartiene alla pratica della tradizione religiosa antica che indica in questa privazione dell’essenziale la dipendenza dell’uomo da Dio, datore di vita (cf. Dt 8,3). L’evangelista sottolinea che Gesù digiuna per «quaranta giorni e notti»: in questo modo, Gesù richiama Mosè al Sinai (Es 34,28; Dt 9,9) e anche la missione del profeta Elia sull’Horeb (1Re 19,8). Allo stesso modo del popolo (cf. Is 63,14) anche il Signore è condotto dallo Spirito nella solitudine del deserto. Dunque Gesù «rifà il cammino del deserto» segnato dalla tentazione e dalla sfiducia di Israele: assume su di sé la debolezza e i peccati del suo popolo, caduto molte volte nella solitudine e nella incredulità. Alla fine, proprio nel momento di maggiore bisogno e di stanchezza, inizia il “test”.
Luca mostra come la condizione di povertà e di indigenza si prolunga per quaranta giorni, durante i quali viene tentato dal «diavolo». Il termine «diavolo» indica «colui che separa» e la sua opera consiste nel dividere il Figlio dal Padre e cercare di distruggere la relazione di profonda comunione. Le tentazioni richiamano la prova del popolo nel deserto, come il numero «quaranta.
I tre “test” riguardano il tipo di messia che Gesù rappresenta. Nella prima tentazione si fa leva sul tema della liberazione dalla schiavitù economico-sociale del popolo. Gesù viene provocato dal tentatore a vivere un messianismo di tipo socio-economico, sullo sfondo delle attese e delle aspettative giudaiche, mediante avvenimenti prodigiosi e miracolistici (cf. At 21,38). La fame nel deserto del mondo deve essere sfamata con una trasformazione prodigiosa di pietre in pane: solo così Gesù può mostrare di essere «Figlio di Dio».
La risposta del Signore è un appello alla centralità della promessa di Dio: «non di solo pane vive l’uomo» (cf. Dt 8,3). Gesù insegna a rimettere Dio al primo posto, dando fiducia solo alla sua provvidenza. Il giusto che vive la fede nell’attesa della venuta del Cristo non può che seguire questa strada: Gesù è venuto ad indicare una strada – quella che lui ha percorso – non ad eliminare le difficoltà con dei miracoli (come piacerebbe a noi!)
La seconda tentazione è quella del potere politico sul mondo. Già nella tradizione messianica dell’AT al messia sono promessi i regni della terra (Sal 2,6.8; 110,1-2). La condizione posta dal “tentatore” è profondamente idolatrica, che ha come conseguenza l’infedeltà radicale a Dio, unico Signore. Ma Gesù riconosce l’unico Dio (shemah Israel in Dt 6,5.13; cf. Es 32,1), indicando la via della fedeltà al Padre, come unica strada per la realizzazione delle promesse di salvezza. Sul monte della tentazione, come nuovo Mosè, Gesù riafferma l’unica signoria della storia: quella di Dio, a cui solo dobbiamo volgere lo sguardo.
La terza tentazione riguarda la religione. Per Luca la città di Gerusalemme acquista un’importanza centrale per la missione/rivelazione di Gesù come «profeta e salvatore». Cristo è spinto (citazione di Sal 91,11-12) a «servirsi di Dio» e controllarlo. Anche il popolo di Israele volle tentare il Signore nel deserto con la magia e i miracoli. La risposta di Gesù segue la citazione della Scrittura: Non tenterai il Signore Dio tuo (cf. Dt 6,16). La religione come strumento per avere favori da Dio?
Nel deserto, luogo della prova, cioè in tutta la sua vita, Gesù vince le prove affidandosi completamente nell’obbedienza filiale al Padre. Allo stesso modo egli insegna a noi, che camminiamo nel deserto delle nostre giornate, ad affidarci alla promessa di Dio e, specialmente, a quanto ci ha fatto conoscere con Gesù di Nazareth. Comprendiamo, allora, che il “tentatore”, che noi purtroppo abbiamo identificato come una “essere nemico di Dio e nemico dell’uomo”, di fatto sta ad indicare le nostre paure, i nostri dubbi, le nostre inclinazioni a non fidarci di Dio. La vera tentazione, il vero “test” – sembra dirci Luca/Gesù è questo: Dio è mio Padre si o no?! Si interessa a me si o no?! Gesù ci dà la sua risposta con la sua vita.
- La pagina iniziale delle tentazioni rimanda alla grande ed ultima del Getsemani (Mt 26,36-56), preludio della passione di Cristo. In questa luce l’obbedienza al Padre si fa completa, mediante la consegna di sé stesso alla morte in croce (cf. Fil 2,6-11).
Spunti per la meditazione e l’attualizzazione
Il racconto delle tentazioni di Gesù non va considerato come un «incidente iniziale» del ministero pubblico del Signore, bensì come lo stile mediante il quale il credente deve vivere nel mondo. Ci collochiamo anche noi, mossi dallo Spirito nel contesto del deserto. È singolare questa situazione: Gesù, ricevuto il Battesimo, avrebbe dovuto apparire in tutta la sua gloria agli uomini, magari, con una strategia vincente e gloriosa. Invece no: «quel Figlio amatissimo» è mandato a noi per indicare la strada per uscire vivi da tutte le prove della vita.
Spicca l’immagine del deserto. Il deserto, luogo inospitale, invivibile, che fin dall’Antico Testamento accompagna con la sua presenza il cammino dei credenti: Adamo sperimenta la solitudine (Gn 2-3); Abramo è nella prova (Gn 22); Israele vive il peccato (Es 16); la predicazione profetica e l’annuncio messianico si realizzano nel cambiamento del deserto in giardino (Is 35). Il deserto ti richiama l’essenziale, la verità di te stesso e della tua vita, ti consente di purificare il tuo cuore per ascoltare la Parola di Dio e rifare alleanza con Lui (Es 24). Il deserto è una «zona di mezzo», tra te e Dio, tra il tuo territorio e la terra promessa: sei chiamato a passare attraverso il deserto!
Quando si è soli, si sperimenta la lotta che avviene dentro noi stessi: dunque il vero nemico è dentro di noi e siamo chiamati a fare i conti con lui. Al centro della pagina lucana c’è la figura di Gesù pienamente uomo e pienamente Dio: chi è per noi oggi Gesù? Le tentazioni subite e superate ci aiutano a «riscoprire» il volto «lottatore» del Figlio. Gesù è colui che lotta per Dio!
L’uomo sarà sempre sottoposto a questi tre “test” fondamentali esigenze che diventano per lui un assoluto. Il pane indica il bene economico che può trasformarsi in un idolo a cui sottomettiamo la nostra volontà; la proposta del potere sul monte altissimo, che sovrasta i regni della terra è l’espressione del dominio anziché di servizio e della donazione agli altri; il pinnacolo del tempio è l’uso e la strumentalizzazione del sacro per controllare e sottomettere gli altri.
- La pagina ci aiuta a cogliere la dimensione della lotta per la fede: dopo aver contemplato il mistero del Natale siamo invitati a entrare in un cammino spirituale che ci vede pienamente impegnati a lottare per la fede e la verità. La nostra unione con il Padre e il nostro impegno costruire la comunità non devono mai venire meno nelle scelte quotidiane. Dio non ci abbandona nel nostro cammino vero di Lui: egli ci sostiene in ogni momento della vita, soprattutto nell’ora della prova.
LA TRASFIGURAZIONE [Lc 9, 28-36]
[IIa di Quaresima - 17 marzo]
La trasfigurazione
Luca non ha il termine trasfigurazione (metamorphéo) che poteva essere assimilato alle metamorfosi della mitologia pagana. Il monte richiama il Sinai sul quale Dio aveva manifestato la gloria a Mosè e la nube rievoca quella stessa che guidava il popolo nel deserto (Es 40). Le vesti sfolgoranti e il mutare d’aspetto di Gesù manifestano la gloria del Figlio di Dio, la sua vera identità, la sua appartenenza ad un regno che “non è di quaggiù”: regno le cui porte Egli è venuto a spalancare a quanti, seguendo la voce del Padre, che dall’alto conferma l’operato del Figlio, vorranno seguire Cristo sulla via della croce. E la croce è l’unica via che apre l’accesso verso la gloria. Gloria[1] che adesso è solo intravista e contemplata, ma che tutti noi, figli insieme al Figlio, siamo chiamati a godere per sempre.
Mosè ed Elia
La comunità di Luca ha capito che per comprendere il Figlio bisogna rifarsi a due personaggi chiave della storia biblica: Mosè il liberatore, il mediatore per eccellenza fra Dio e il suo popolo; Elia, il più grande dei profeti, rifiutato ma continuamente e nuovamente atteso. La loro presenza accanto a Gesù sottolinea il legame e il passaggio fra l’Antico e il Nuovo Testamento. Gesù è ormai l’unico mediatore e l’unico profeta di Dio. Egli raccoglie in sé la missione di Mosè ed Elia: donerà al nuovo Israele la vera e definitiva salvezza e rivelerà pienamente il volto e la volontà del Padre, rendendoli partecipi della sua stessa gloria.
La tentazione di Pietro
I discepoli, tuttavia, sono confusi. I loro occhi faticano ad aprirsi per contemplare la manifestazione gloriosa del Figlio di Dio. I loro cuori ancora tremano di paura e le loro menti sono annebbiate. Hanno soltanto una certezza: “è bello stare lì”. Noi siamo continuamente di una ricerca rassicurante e avvolgente di Dio. Come Pietro, anche noi non sappiamo quello che diciamo! Il cammino, infatti, è ancora lungo e difficile … ai piedi del monte li aspetta Gerusalemme! Sulla cima di un altro monte i loro occhi contempleranno un altro volto di Gesù: quello sofferente, umiliato e abbandonato. La voce del Padre tacerà, mentre il Figlio porterà a compimento il progetto di salvezza perché ogni uomo possa vedere la gloria di Dio: questa è la vera Trasfigurazione, la vera Shekinà del Dio che noi non conosciamo!
Spunti per la meditazione e l’attualizzazione
La trasfigurazione è il preludio della gloria e un’anticipazione della Pasqua. La trasfigurazione è orientata alla risurrezione di Gesù, evidenziata nel tema dell’«esodo». Il racconto della trasfigurazione termina con l’indicazione del silenzio dei discepoli: Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Il messaggio principale che emerge dal nostro brano è quello di confermare la famosa confessione di Pietro a Cesarea: Gesù, il Figlio dell’Uomo sofferente e glorioso, che nella propria morte e risurrezione realizza e porta a pienezza tutte le Scritture. Tutta la vita di Gesù è una trasfigurazione: in lui, abbiamo potuto vedere la presenza (=la gloria, la Shekinà) di Dio di cui noi non possiamo comprendere nulla se non nella concretezza della vita di Gesù. Qui abbiamo già anticipato l’evento pasquale. Attraverso la via della croce, Cristo realizzerà la piena manifestazione della sua gloria e della sua dignità filiale. Non dimentichiamo che i Vangeli sono scritti dopo la Pasqua. La trasfigurazione inizia con l’inizio della vita di Gesù tra noi.
La scelta continua e ripetuta da parte di Gesù di voler accanto a sé la presenza particolare degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni: (ricordiamo l’istituzione dei Dodici; la risurrezione della figlia di Giàiro; la presenza nel Getsemani), ci dice che nei momenti più importanti della sua vita si evidenzia l’atteggiamento e la volontà del Messia di voler rendere i suoi discepoli testimoni autentici e portatori validi della buona novella: il vero senso della nascita, vita morte e risurrezione di Gesù. (questa è la trasfigurazione di Gesù, e questa avrà compimento a Pasqua).
La trasfigurazione occupava un posto importante nella vita e nell’insegnamento della Chiesa primitiva. Ne sono testimonianze le narrazioni dettagliate dei Vangeli e il riferimento presente nella seconda lettera di Pietro (2Pt 1,16-18).
L’Incarnazione è al centro del cristianesimo. La vita cristiana è una contemplazione continua di Gesù Cristo. Nessuna saggezza umana, nessun sapere possono penetrare il mistero della rivelazione. Solo nella preghiera possiamo tendere a Cristo e cominciare a conoscerlo.
“È bello per noi stare qui”, esclama Pietro, il quale “non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”. Sul Calvario, dove la trasfigurazione si completerà, Pietro non ci sarà. Ma quando anche lui, comprendendo Mosè ed Elia, comprendendo quello che il Maestro aveva fatto e detto, potrà dire in pienezza:
“È bello per noi stare qui”. La fede pone a tacere la paura, soprattutto la paura di aprire la nostra vita a Cristo, senza condizioni.
LA CONVERSIONE [Lc 13, 1-9]
[IIIa di Quaresima – 24 marzo]
Tre piccole storie
Due fatti accaduti hanno segnato l’opinione pubblica del tempo. Il primo riguarda la condanna a morte decisa da Ponzio Pilato nei confronti di alcuni «galilei» ritenuti sovversivi e pericolosi per il loro estremismo religioso. Pilato li aveva sopresi durante i sacrifici e li aveva fatti uccidere. L’occasione di questo evento così drammatico spinge a una riflessione sul senso della vita e sull’importanza della «conversione». La sorte subita dai galilei non sarà peggiore di quella che altri peccatori potranno avere. Gesù lancia un messaggio chiaro ai suoi uditori: nessuno deve sentirsi giusto davanti a Dio.
La condizione per ottenere la vita è data dalla «conversione». Sappiamo come l’idea di «conversione» s’inserisca nella linea profetica dell’Antico Testamento (Ezechiele, Geremia, ecc.). Verrà il tempo in cui Dio toglierà il cuore di pietra dell'uomo e gli darà un nuovo cuore, un nuovo modo di pensare, di desiderare, un nuovo modo di totalità. Si tratta di un «ritorno a Dio» a partire dal cuore. La parola conversione è una parola profetica, una promessa: dalla promessa viene all'uomo il dono e col dono il compito. Al centro della conversione sta il fatto della Nuova Alleanza: Dio stesso trasforma il significato della storia. La venuta di Cristo è la grande trasformazione.
Sottolineando l’impegno della conversione, il Signore invita i suoi ascoltatori ad entrare nella logica del Vangelo. Infatti la condizione di base della conversione, del ritorno a Dio, è la venuta di Cristo, ossia l’accoglienza della sua persona: non solo quello che ha detto ma, specialmente, quello che ha fatto.
Il secondo caso menzionato da Gesù è il disastro della torre di Siloe la cui caduta improvvisa ha provocato la morte di diciotto persone. L’interrogativo non è più orientato alla violenza opprimente dell’impero romano (l’autorità di Ponzio Pilato) ma all’imprevedibilità della distruzione e della morte prodotta dalle disgrazie. Una torre che crolla è il simbolo di un potere che va in frantumi. Sappiamo l’importanza delle torri per una comunità: la torre con la sua altezza e stabilità attesta un potere. All’ombra della torre si è sicuri, ci si sente difesi. In questo caso la rovina è provocata dalla fragilità e dalla debolezza della costruzione. Le calamità naturali sono espressione della debolezza umana: l’uomo è fragile, esposto… Cosa significa guardare quegli eventi con l’occhio di Dio? La grande prova è proprio lì: Dio è con noi sempre si o no? Fidarsi di Dio nonostante tutto è la vera prova!!! Cristo ci indica questo percorso: Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mc e Mt) per giungere…Padre nelle tue mai mi affido.. (Lc)
Poi la parabola dell’albero di fico che è infruttuoso (vv. 6-10). Il padrone da tre anni viene a cercare i frutti del fico senza trovarli. La conseguenza dell’infruttuosità è «tagliare» l’albero affinché non sfrutti più il terreno. Il fico rappresenta il popolo di Israele; si vuole sottolineare il ritardo con cui noi accogliamo l’invito alla conversione. L’evangelista Luca sottolinea in modo particolare questa dimensione del «tempo» della conversione: tutta la vita è un cambiamento! Tu lo taglierai: tutto nelle mani di Dio! Il giudizio non viene né dell’agricoltore, né dall’albero ovviamente, ma solo da Dio alla fine dei tempi; e tantomeno può avvenire da altri alberi simili a questo! Interessante notare che neppure l’agricoltore si prende il diritto di giudicare. L’agricoltore viene inteso come il Cristo. Ora è curioso che neppure Cristo si prende il ruolo di giudicare, mentre sappiamo dalla tradizione evangelica che sarà lui il giudice. E’ curioso vedere come quando a Cristo gli chiedono il momento, lui risponde: Non lo sa nemmeno il Figlio, ma solo il Padre. Come dire: Se proprio vuoi, Tu che sei Padre…te la senti di tagliare??!! Stupendo!!!
LA RICONCILIAZIONE [Lc 15, 1ss]
[IVa di Quaresima – 31 marzo]
La notissima storia del padre misericordioso si ripropone come icona del cammino di riconciliazione e di riscoperta del perdono di Dio. Il luogo simbolico, la sorgente da cui promana la misericordia di Dio è costituita dalla «casa» paterna, che si riempie di festa e le cui porte restano aperte al ritorno dei due figli!
La parabola va letta insieme ai due precedenti racconti del cap. 15: la pecora smarrita e ritrovata dal pastore (vv. 4-7) e la moneta smarrita e ritrovata dalla donna (vv. 8-10). Le tre parabole rivelano il mistero dell’amore del Padre verso coloro che si perdono e ci aiutano a comprendere l’amore misericordioso di Dio
Nei vv. 1-3, Luca evidenzia il motivo che spinge Gesù a narrare le tre parabole: da una parte l’atteggiamento di apertura all’ascolto da parte dei pubblicani e dei peccatori (v. 1) e dall’altra la mormorazione di scribi e farisei (v. 2). Tutta l’attenzione è quindi concentrata sulla storia familiare del padre e dei suoi due figli, che sintetizza anche i primi due racconti e ne rielabora il messaggio.
Il racconto «drammatico» di Lc 15,11-32 si svolge in tre atti. Nel primo atto del racconto si assiste all’allontanamento del figlio più giovane che interrompe la comunione familiare per cercarsi spazi di libertà e costruirsi un futuro diverso ed autonomo. Vanno notati in modo significativo i termini con cui si sottolinea il cambiamento della situazione geografica ed affettiva, la lontananza dalla casa paterna da parte del figlio giovane. Il testo tace i motivi del suo andarsene: la speranza/illusione di trovare una «casa» lontana, indipendente e soprattutto alternativa a quella paterna? Di fronte a questa scelta di vita il padre tace, non lo trattiene. Egli raccoglie il patrimonio e le sostanze ottenute e parte verso un paese lontano, anonimo, dove dilapida tutto in modo dissoluto, vivendo «senza salvezza».
Quella che doveva essere una scelta di vita diventa una condizione irreversibile di morte. Privato di ogni sicurezza economica, ridotto alla povertà in un contesto di carestia, è costretto ad un servizio degradante presso uno degli abitanti di quella regione: pascolare i porci senza potersi «riempire il ventre» (v. 16) neppure di carrube. L’evangelista sottolinea il totale stato di impurità del giovane (cf. Lv 11,7; Dt 14,8) e ne segna la completa lontananza dal suo precedente livello di vita; questo mostra la gravità del male fisico e morale in cui è inesorabilmente caduto, frutto di una falsa illusoria libertà (cf. Ger 2,5; 3,24). Solo adesso il giovane si accorge dell’importanza della «casa del padre», mentre sogna quel pane che perfino i salariati avevano in abbondanza presso la sua famiglia (v. 17). Più dei sentimenti familiari, è la situazione di assoluto bisogno che lo spinge a rientrare in se stesso (v. 17), a decidersi di alzarsi da quella situazione (v. 18) e di ritornare dal padre per chiedergli di essere riaccolto anche come salariato (v. 19).
Il secondo atto (vv. 21b-24) è dominato dalla figura paterna, che rivela nei gesti e nelle parole la grandezza del suo cuore misericordioso. Ancora in cammino e distante il padre anticipa il figlio tanto atteso (cf. Is 30,18). Il movimento del padre nasce dalla commozione di un cuore (v. 20b) restato sentinella. La scena dell’incontro è struggente: i sentimenti contrastanti dei due attori si incontrano e si fondono in un abbraccio commosso. Il padre lo aveva visto (v. 20), il figlio temeva di vederlo, il padre gli corre incontro, il figlio gli chiede perdono, il padre gli si getta al collo e lo bacia, il figlio gli dichiara il suo fallimento e gli consegna il verdetto. La scena avviene nella strada «che si fa casa» e diventa il luogo pubblico dell’incontro e dell’ospitalità. Si potrà notare che anche nella successiva uscita del padre per convincere il figlio maggiore a rientrare in casa, il dialogo si svolge per strada (v. 28).
La casa si spalanca a festa per il figlio «morto e tornato in vita, perduto e ritrovato» (v. 24). In queste parole ripetute dal padre a entrambi i figli (v. 24.32) va individuata la chiave di lettura di questa «pagina di vita» e la sua connessione con l’annuncio pasquale. L’evangelista ci fa gustare il sussulto paterno di gioia espresso nella serie rapida di sette ordini impartiti ai servi, perché sia ridata dignità al figlio minore. È la gioia a cedere il passo alla tristezza e il giovane rientrato in famiglia riprende il suo posto che era rimasto vuoto (vestito, il primo; i calzari ai piedi) e riacquista la propria autorità (v. 22: l’anello). Alla solitudine viene sostituita la famiglia, alla tristezza la festa, alla carestia un banchetto, alle carrube il vitello ingrassato[2], alla strada del fallimento la sicurezza della casa e dell’affetto.
Fin qui la scena ricalca lo schema delle prime due parabole e si conclude con un happy end. Ma nel terzo atto (vv. 29-32) si consuma la contestazione del figlio maggiore, il quale si oppone alla decisione paterna, rigettandone il giudizio misericordioso. Quel giovane «prodigo» non è degno di rientrare nella casa paterna e la scelta del padre costituisce una ingiustizia nei riguardi del figlio maggiore, che si sente defraudato dei suoi diritti patrimoniali (ha dilapidato i tuoi averi). L’evangelista sottolinea per bocca del figlio maggiore la gravità del danno compiuto alla famiglia e gli aspetti rivendicativi e pretestuosi contro il comportamento del fratello, che rimane «figlio del padre». Entrare nella casa significherebbe per lui accettare la logica del perdono e riprendere una relazione che oramai si considerava chiusa. La narrazione evidenzia l’atteggiamento statico del maggiore: egli non voleva entrare e l’accusa rivolta alla giustizia parziale usata dal padre nei suoi riguardi (v. 29).
Dinanzi al geloso risentimento del figlio maggiore, il padre risponde con una nota di affetto (v. 31: teknon = ragazzo mio!). Egli ascolta il figlio, lo accoglie, gli esprime la volontà di affetto («sei sempre con me») e di comunione (v. 31: «ciò che è mio è tuo») e nello stesso tempo lo invita a «riconoscere il volto del fratello» (v. 32: «questo tuo fratello») e ad unirsi alla «festa», come una risposta al dono della vita e della paternità/figliolanza. L’immagine della casa rimane sullo sfondo di una storia di riconciliazione e di vita, in cui Gesù ci presenta la dinamica dell’amore di Dio, le cui porte sono spalancate.
Spunti per la meditazione e l’attualizzazione
Questa illuminante storia familiare ci inserisce nel dinamismo dell’amore di Dio, la cui immagine più viva è rappresentata dalla qualità delle relazioni familiari. Tra i molteplici messaggi che ci vengono offerti in questo brano, vanno evidenziati quattro temi in stretta connessione tra di loro: la realtà del peccato; il cammino di conversione; la relazione tra giustizia e misericordia; la paternità di Dio.
- La realtà del peccato è collegata al mistero della libertà dell’uomo. L’inspiegabile decisione del figlio più giovane di lasciare la casa paterna e il fallimento totale della sua avventura descrivono plasticamente la dinamica del peccato, intesa come sbaglio esistenziale, incapacità di cogliere l’obiettivo del proprio progetto di vita. La parabola ci mostra narrativamente come il peccato sia «allontanamento» deliberato dalla casa del padre, spreco delle proprie energie, condizione di solitudine e di smarrimento, scelta senza progetto, costruzione senza fondamento. In questa logica, seppure con una condizione diversa, cade anche il figlio maggiore. Tuttavia se Dio lascia libero l’uomo nella sua autodeterminazione, non lo abbandona mai nella solitudine.
- Riconciliarsi significa «rifare il cammino del ritorno a Dio» (è il senso della teshuvâ ebraica - Vedi percorso dello scorso Avvento). Il racconto evidenzia in modo netto la differenza tra i due figli (il contrasto è tipico di Luca: Lazzaro/ricco epulone; fariseo/pubblicano; vedova/giudice, ecc.). La logica della riconciliazione implica la decisione di cambiare vita. Il racconto esprime una triplice simbologia: la libertà dei due figli è garantita dall’amore misericordioso del Padre; c’è sempre una strada che segna la distanza tra il dover essere e l’essere, segno di un cammino da compiere; c’è sempre una casa a cui ritornare, che indica la comunione e la dignità delle relazioni padre-figli.
- La parabola mette in gioco un contrasto permanente tra giustizia e misericordia. Luca ci parla di tre modelli di giustizia: quello del fratello più giovane (v. 19), quello del maggiore (vv. 29-30) e quello del padre (vv. 23-24.32). I primi due modelli si fermano sull’idea della giustizia umana come “retribuzione”: il minore pretende di rientrare a casa non più come figlio ma come «servo», il maggiore condanna senza appello il fratello che ha sbagliato e giudica il padre che lo ha riaccolto. Il terzo modello, quello del Padre, supera la visione “retribuzionista” e punitiva dei due figli, unendo insieme la giustizia con la misericordia. Al centro del racconto si staglia la figura straordinaria del Padre, che fa prevalere la sua logica misericordiosa. Il passato è superato dall’amore. Non valgono le motivazioni “giustissime” (!!!) del figlio maggiore di fronte al «dono della conversione» e della vita! E’ l’amore paterno/materno di Dio l’ultima parola affidata all’uomo e al suo destino.
- La storia racconta il mistero della paternità di Dio e ci invita ad una profonda meditazione sul nostro cammino di conversione e di ricerca della sua volontà. Il primo aspetto di questa storia è dato dal «non detto» della condizione dei figli: essi vivono ripieni di amore del Padre (manca la figura materna!), secondo una logica «familiare»: nulla può esprime meglio il nostro rapporto con il mistero dell’amore di Dio se non la relazione familiare. Egli è il Padre! In definitiva la narrazione evidenzia l’esercizio della libertà di fronte alla paternità: il minore la esprime «fuggendo» e «cercando altre strade», il maggiore la vive in una forma frustrante, come un servo sottomesso. Entrambi i figli in realtà non conoscono e forse non apprezzano l’amore del Padre. Essi sono alla ricerca! Le strade sono diverse: il minore scopre a proprie spese il valore della paternità di Dio e della casa: prende coscienza di se stesso e si rimette sulla strada del ritorno. Il maggiore «rimane fuori» dalla casa, rifiutando di accettare la «logica misericordiosa» del Padre.
La pagina lucana rimane «aperta» a ulteriori sviluppi, chiede di essere completata, scritta a partire dalla nostra vita. Ne è segno la casa «dalle porte spalancate». Non è forse l’immagine di come deve essere la nostra accoglienza verso i fratelli?
IL PERDONO [Gv 8, 1-11]
[Va di Quaresima – 7 aprile]
In questa domenica vogliamo sostare in contemplazione di Gesù che strappa l’adultera dalla lapidazione, con due domanda che da subito ci attraversano: in nome di chi questo uomo può andare contro la legge? Chi è il vero peccatore. Il fatto è grave: una donna sorpresa sul fatto mentre commette adulterio. E io che ascolto oggi questo racconto mi chiedo: come hanno fatto a coglierla sul fatto? Ci può essere una sola risposta: hanno visto, quindi erano presenti, quindi conoscevano quella donna e il suo indirizzo; anzi la donna potrebbe accusarli a sua volta, cominciando dai più anziani. Ecco la situazione davanti alla quale ci mette Luca: i difensori della morale e una peccatrice. Gesù chiamato in causa per una sentenza; vorrebbero metterlo alla prova, in realtà…
Tragico è l’epilogo del racconto: «se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani» (Gv 8,9): i più anziani (gr.: presbýteroi) che è una delle categorie presenti nel sinedrio, dunque coloro che dovrebbero essere il modello e l’esempio vivente. Nel processo a Gesù, saranno tra coloro che lo condanneranno a morte.
[1] Per metterlo alla prova
Gesù è Figlio di Dio: cosa vuol dire? Che figlio è? Cosa vuol dire essere figlio di Dio? Il verbo usato vuol dire diventare esperto attraverso una prova, un test(=perito). Quando noi preghiamo il Padre nostro e diciamo tentazione, noi in realtà stiamo chiedendo al Padre un’altra cosa. Gesù in che cosa deve mostrarsi esperto? Nel Battesimo di Gesù la Voce dalla nube dice: Questi è mio figlio. Nella Trasfigurazione (2° domenica di Quaresima) ancora: Questi è mio Figlio… Sulla croce: Se tu sei figlio di Dio… Gesù che figlio è? Gesù come fa vedere di essere figlio di Dio? E’ diventato esperto in filialità? «Padre perdona loro…»; «Padre, nelle tue mani affido la mia vita». Gesù è questo Figlio, fedele a suo Padre: in tutta la sua vita ha fatto vedere com’è suo Padre. Davanti alla peccatrice sospende ogni giudizio; il Padre l’ha mandato a sospendere ogni condanna (ricordiamo la parabola del fico: 3° di Quaresima). Gesù è proprio un Figlio che ha imparato ad essere Figlio, in tutta la sua vita. Fin da piccolo, nella casa di Nazareth, nella sinagoga del suo paese…ha imparato a conoscere il Padre e ora, difronte a chi lo interroga è in grado di far conoscere questo Padre. Non è stato facile per lui questo cammino e Luca ce lo dice nel racconto delle 3 prove (1° domenica di Quaresima).
Una nota importante. La donna adultera non dice una parola; risponderà solo a Gesù il quale alla fine si rivolgerà a lei. E’ il modo con cui Gesù la considera che rivela chi è Gesù e chi sono gli accusatori. Anche per Gesù è una peccatrice, ma lui la guarda con un occhio diverso, non la condanna: proprio qui Gesù supera la prova!!! Sta facendo quello che farebbe Dio: è proprio un Figlio perfetto, ha imparato, ha capito cosa significa essere figlio di Dio (vedi 4° domenica di Quaresima, parabola del Padre misericordioso)!
Altra nota importante. Se sono davanti ad un nemico, non è lui prima di tutto che deve cambiare; io cambio per primo e di conseguenza lui da nemico diventa fratello. Questo vuol dire essere figlio di Dio. Finora solo Gesù è riuscito pienamente in questo. Noi però siamo invitati a provarci; più ci proviamo più ci scopriamo “umani”, quindi fratelli, figli dello stesso Padre. Questo chiediamo al Padre: Padre, non lasciarci soli nella prova quando Tu ci inviti ad essere tuoi figli come il Figlio… (questo chiediamo nel Padre Nostro).
[2] Gesù non giudica: scrive per terra
Cosa significa scrivere per terra? Per comprendere vediamo due testi delle Scritture:
- Geremia: «O speranza d’Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva» (Ger 17,13). Scrivendo per terra, Gesù ricorda, a coloro che pretendono di essere i veri interpreti della Scrittura, che si sono allontanati dalla sorgente della vita. In altre parole si sono allontanati dall’amore di Dio il quale vuole non la morte del peccatore ma che si converta e viva. E, specialmente, non comprendono quello che Dio sta dicendo mandando suo Figlio il quale addirittura muore al nostro posto per dire a tutti: Padre, perdona loro perché non sanno…
- Esodo 31, 18: Gesù scrive con il dito… Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio.
Due osservazioni
- Gesù non giudica e non condanna nessuno! Interviene perché tu scopra chi sei. Il giudizio lo lascia fare a noi. Io non giudico nessuno (Gv 8, 15). La Parola mi è data non perché io la usi per giudicare gli altri, ma perché io mi lasci illuminare per capire dove sono, cosa sto facendo.
- Tutto quanto è scritto nella polvere non ha consistenza, basta un soffio di vento, basta un piede che passa. Gesù cosa scrive sulla polvere? La sentenza di condanna, i peccati, i nomi dei peccatori…? Gesù, diventato figlio esperto davanti a Dio ripete a ciascuno di noi: guardati dentro, quello che stai facendo non ha futuro… E’ un avvertimento perché tu prenda coscienza che stai rischiando di fallire la tua vita, di non essere un vero uomo, una vera donna… Nemmeno io ti condanno: io mi condanno ad una vita a metà… sperando sempre che Dio non la pensi come me!!!
[3] Chi è l’adultera
Chi è dunque l’adultera? Ciascuno di noi? Anche, ma è troppo semplice. Lo ripetiamo, il racconto è di Luca e va collocato pochi giorni prima della passione. [Ipotesi di P. Farinella: Gv 8, 1-12 Lc 21, 37-38]. La condanna e la volontà di morte della donna sono un anticipo della volontà di morte che nutrono i sommi sacerdoti e gli scribi. Ascoltiamo alcuni brani della Scrittura.
Gal 3, 3,13: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi.
1 Pt 2, 24: Egli ha preso su di sé i nostri peccati e li ha portati con sé sulla croce. Le sue ferite sono state la nostra salvezza.
Is 50, 4-11: Ecco, il Signore mi assiste
Chi mi dichiara colpevole?
Is 53, 1ss: Egli si è caricato delle nostre sofferenze
E noi lo giudicavamo castigato…
Quindi l’adultera può risultare l’immagine di Cristo che senza difesa va incontro alla morte. E’ una rilettura imbarazzante per la nostra sensibilità religiosa. Se leggiamo attentamente il racconto del Padre misericordioso, ci rendiamo conto che questa lettura è veramente molto consolante e, forse, la più capace di motivare in noi un vero cammino di conversione. Non il timore, non la paura del castigo, ma l’amore di Dio che ci ama comunque può farci riscoprire la bellezza di essere figli e quindi… (cf Fil 2,5-11).
[4] PER LA NOSTRA VITA
Gesù si trova come tra due fuochi: gli accusatori e l’accusata. E’ importante notare che in realtà Luca mette nel mezzo l’adultera, è a partire di lì che deve avvenire qualcosa! Lui non si schiera dalla parte di nessuno, non giudica, non dà ragione a nessuno. Si limita a fornire gli elementi in modo che tu, ascoltando e vedendo, possa fare tu un giudizio su di te. Scribi e farisei, in base alla loro religione, condannano: ti dichiaro peccatore e ti condanno. Gesù, al contrario, ti invita a fare un autoesame: che uomo/donna sono? Dove sono? Che strada sto percorrendo? Gesù – già l’abbiamo visto – ti invita a questo in due modi: - Scrive sulla polvere; - Ti fa una domanda alla quale solo tu puoi e devi rispondere.
Alla fine, chi risulta peccatore: la peccatrice? Gli accusatori? Oppure tutti e due?!
Da notare: la donna va via assolta, gli altri vanno via senza assoluzione. Perché? Perché non ammettono i propri peccati. Se non altro, non ammettono il peccato che proprio in quel momento stanno commettendo: stanno giudicando e, per di più, usano proprio la Parola di Dio per condannare. Per Luca questo è il peccato più grosso!
…PER LA MEDITAZIONE E LA RIFLESSIONE PERSONALE
- Luca ci vuole condurre qui
- SIAMO TUTTI BISOGNOSI DI MISERICORDIA
- NON SPETTA A NOI GIUDICARE; SOLO DIO E’ GIUDICE. In Gesù, secondo Luca, ogni giudizio di condanna è sospeso.
- Una domanda su cui riflettere
La donna tace, non dice una parola, se non alla fine, per sottolineare che nessuno l’ha condannata. Ma questo non è propriamente vero: i responsabili della legge avevano già fatto il processo e definito la condanna, proprio in nome della legge. Cosa significa che “nessuno” l’ha condannata?
[1] Gloria, in ebraico Shekinà, indica la presenza misteriosa ma reale di Dio. Il massimo si manifesta nell’evento della Pasqua.
[2] Se desideri un approfondimento su questo vitello ingrassato, puoi chiedere in parrocchia il fascicolo di una celebrazione di qualche anno fa.