La Parola di questa Domenica – con riferimento particolare a Isaia e a Giovanni – cercherò di sintetizzarla a partire dalla presentazione che Giovanni fa di Gesù: … il prendente su di sé il peccato del mondo. Il pensiero corre immediatamente al giorno di Yom Kippur, cioè il "giorno dell'espiazione"; in questo giorno la comunità degli israeliti offriva due capri, uguali fra loro, da sacrificare nel Tempio di Gerusalemme in espiazione dei propri peccati.
Il sommo sacerdote compiva un'estrazione a sorte tra i due capri. Il primo era immolato nei pressi dell'altare dei sacrifici, posto all'ingresso dell'edificio del Tempio (il "Santo"). Il suo sangue era utilizzato per purificare il tempio e l'altare profanati dai peccati degli Israeliti (Levitico Lev. 16, 5-10).
Il sommo sacerdote, poi, poneva le sue mani sulla testa del secondo capro, confessava i peccati del popolo di Israele: con quel gesto faceva ricadere sul capro tutti i peccati del popolo. Il capro – con addosso il carico dei peccati d’Israele – veniva quindi condotto in un'area desertica a circa 12 chilometri da Gerusalemme, dove secondo la tradizione rabbinica veniva precipitato da una rupe (Lev. 16, 20-22). Si osservi che la bestia non viene offerta né a YHWH né ad altre divinità, proprio perché i peccati la rendono impura e perciò inadatta ad essere vittima sacrificale.
Il primo capro è detto "espiatorio" e il secondo "emissario". Nel linguaggio comune, però, anche il capro emissario è chiamato capro espiatorio, perché anch'esso contribuisce in qualche modo al rito di espiazione, portando via con sé nel deserto i peccati.
Questo rito aveva come fine quello di espiare tutte le colpe del popolo ebraico, addossate simbolicamente al capro, il quale si rendeva protagonista di tale espiazione andando a morire nel deserto.
Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele - poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza - e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d'Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra».
Salmo Responsoriale Sal 39
R: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio. R.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo». R.
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo». R.
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. R.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1 Cor 1, 1-3
Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Canto al Vangelo
Alleluia, Alleluia.
Il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
a quanti lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio.
Alleluia.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1, 29-34
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Premessa
Continuo la riflessione sul Battesimo di Gesù iniziata domenica scorsa (sottolineo che Giovanni non racconta il Battesimo di Gesù): l’Abbandonato, Lui che avverte il peso dell’abbandono, porta su di sé tutti gli abbandoni della storia. Lui, il Figlio, vive l’esperienza dell’abbandono da parte degli uomini; Lui, uomo, vive l’esperienza dell’abbandono di Dio - vedi domenica scorsa - ; Lui, chiamato Agnello, è il segno del peccato “portato”.
In ascolto della Parola
Giovanni (siamo tra la fine del 1° e l’inizio del 2° secolo d. C.) riassume qui la propria fede in Cristo Gesù risorto ricorrendo ad una simbologia a lui molto cara e densamente significativa nella tradizione cultuale ebraica: Gesù è l’agnello…memoria del capro espiatorio…
Tento di ritradurre alcuni passaggi particolarmente pregnanti:
Ecco l’agnello di Dio,
il prendente su di sé (o airon, quasi un nome proprio)
il peccato del mondo,
è di lui che io ho detto:
- Dietro a me (non dopo di me…) (=discepolo) viene un uomo
che è passato davanti a me (=maestro)
poiché era prima di me…-.
Da parte mia, io non lo conoscevo,
ma colui che mi ha mandato a battezzare nell’acqua
lui mi ha detto:
- Colui sul quale vedrai discendere lo Spirito
e dimorare su di lui,
è Lui che battezza in Spirito -.
Metto a fuoco l’espressione
Agnello… L’agnello porta dentro una lunga memoria di eventi che attraversano tutta la vita cultuale d’Israele. E’ sinonimo di “servo” (vedi prima lettura di oggi), “fanciullo” (vedi il primo Isaia). Il termine evoca per se stesso i sacrifici di Israele, nei quali il bestiame di piccola taglia era comunemente usato per i riti di comunione e per i riti di espiazione. L’agnello costituiva anche il sacrifico quotidiano del tempio. Cristo è chiamato “agnello” perché la sua venuta, di per se stessa, sopprime da parte di Dio la necessità dei riti mediante i quali Israele, nel tempo dell’attesa, doveva sempre nuovamente riallacciare il suo legame esistenziale con Dio. Constatando che, con la presenza di Gesù, la promessa della salvezza è divenuta realtà, il Battista esprime con un’immagine pregnante che, in Gesù, Dio concede la pienezza del perdono a Israele e al mondo. Gesù non è qui la nuova vittima cultuale, ma colui mediante il quale Dio interviene offrendo agli uomini la riconciliazione perfetta con se stesso. Nella persona di Gesù, l’uomo si trova in presenza del Dio salvatore.
…di Dio Il perdono è atto esclusivamente di Dio. Nella frase di Giovanni, chi è colui che “porta” il peccato? E’ necessario fare una precisazione: Agnello di Dio non significa necessariamente Agnello divino; probabilmente significa Agnello dato da Dio, proveniente da Dio. Cioè, Gesù è l’agnello che lui, il Padre, dà per dire che il peccato del mondo è tolto. Potremmo tradurre così: Ecco l’Agnello mediante il quale Dio toglie il peccato del mondo? Come dire: l’Abbandonato offre lo “strumento” per il ritorno: la vicenda umana di suo Figlio! Non mi fermo su questa lettura (è di Xavier Leon-Dufour – Lettura del Vangelo secondo Giovanni – ed. Paoline - 1989 – pag. 240); mi limito a risottolineare come veramente l’uomo che crede, “il credente”, è uno che sa abbandonarsi a questa prorompente, debordante, eccessiva misericordia di Dio! Parte di lì, non dai suoi “sacrifici”!
Riascoltiamo la Parola: alcune sottolineature
L’agnello porta “il” peccato, non “i” peccati! I peccati sono tantissimi ma nascono tutti da un’unica radice: il nostro non fidarci di Lui. (Non mi soffermo; ciascuno di noi può riflettere molto su questa affermazione).
Gesù è diventato Maestro perché ha saputo essere discepolo; Gesù può essere garanzia della misericordia gratuita di Dio in quanto ha percorso la nostra stessa esperienza umana e in tutti i momenti della sua esperienza umana ci ha rivelato, è stato testimone della misericordia di Dio. In questo modo è diventato un maestro, “dietro” il quale anch’io sono continuamente invitato a incamminarmi. Giovanni non registra il Battesimo di Gesù, ma dice che lo Spirito è sceso su quell’uomo (o anèr) che lui vede passare: e quell’uomo è l’agnello. Si rinnova l’invito all’uomo a farsi discepolo di quell’uomo per poter vivere la gioia della salvezza, della misericordia, del rimanere dello Spirito di Dio su di noi: linguaggio altro per dirci che noi siamo figli e non dobbiamo avere nessuna paura di Dio, anzi: nell’uomo - agnello ha portato ormai definitivamente ogni separazione tra noi e lui!
Siamo invitati a cambiare completamente la nostra prospettiva relazionale con Dio: è un’urgenza! Faccio qualche esempio. Io non vado a confessarmi per avere il perdono; vado a celebrare la riconciliazione, cioè vado a rendere grazie per un perdono che già mi è stato donato nell’evento di morte e risurrezione di Gesù, l’Agnello. Per cui concludo: se non mi confesso è segno che…. Io non vado a Messa perché c’è un precetto; vado con la comunità a celebrare la Pasqua di Cristo morto e risorto perché in quell’evento anch’io sono stato chiamato definitivamente Figlio. Per cui concludo: se non vado a Messa è perché… Noi ci sposiamo nella celebrazione della Pasqua di Cristo morto e risorto (eliminiamo l’espressione “sposarci in chiesa”!!!) perché in quell’evento il nostro amore ha avuto la sua premessa fondamentale: la misericordia! Per cui concludo: se continuo a “sposarmi in chiesa”… significa che…
CHE CERCATE?
Nel suo Vangelo, Giovanni fa entrare in scena il suo Personaggio, Gesù, con una domanda: CHE CERCATE? Non è di poca importanza mettere in evidenza il modo con cui viene fatto entrare in scena l’attore principale. Si narra di un incontro tra due che seguono Gesù e Lui che si volta per vedere chi lo sta seguendo (il verbo usato indica non un vedere in superfice ma in profondità, quasi un vedere quello che nemmeno tu vedi). Uno ha un nome, Andrea, l’altro no. Noi che oggi leggiamo il testo sappiamo che – secondo il modo di narrare biblico – questo anonimo è il lettore stesso.
Gesù non chiede chi cercate, ma “che cosa” cercate. Importantissimo: quando io voglio incontrare una persona è perché ho dentro una domanda; sono le mie domande che rivelano chi sono. Dov’è un ristorante? E’ chiaro: ho fame!
E’ quei due: Rabbi (maestro), dove dimori? La domanda è molto profonda: quell’Uomo di cui hanno sentito parlare (quanto è importante conoscerlo!) ha qualcosa che gli altri non hanno. Quali sono le tue abitudini? Cosa pensi di quello che sta succedendo nel mondo? Cosa suggeriresti a uno che vuole essere felice? Cosa ne pensi dell’amore? E della morte cosa ne pensi? Perché nel mondo c’è il dolore?
E Lui: Venite e vedrete… Nemmeno Gesù ha una risposta scontata!!! Per comprendere la Vita bisogna viverla (se uno si lascia vivere non capirà mai la Vita). Per poter dare risposta alla mia domanda importante (che?) debbo averla sempre presente e scegliere di conseguenza:… non è il trovare ma il cercare quello che mi qualifica.
Prosegue Giovanni: Andarono e videro dove dimorava… e dimorarono con lui… La dimora nella Bibbia sta ad indicare qualcosa di stabile, non è la semplice residenza. Il tempio è la Dimora di Dio: lì Dio risiede stabilmente in mezzo al suo popolo. Per comprendere cosa significa amare debbo cercare a lungo… Per comprendere cosa significa pregare debbo provare a lungo… Per comprendere il significato del perdono…
A questo punto una precisazione di orario: Era circa l’ora Decima…L’ora in cui il giorno sta per concludersi; l’ora della solenne preghiera del Vespro. Forse quell’ora sta ad indicare l’ora in cui la vita sta per concludersi e si tirano le somme: e quei due vogliono sottolineare quanto importante sia stato quel primo incontro e quanto sia stato significativo per la loro vita andare a vedere dove dimorava quell’Uomo.
La domanda ritorna altre due volta nel Vangelo di Giovanni. Nel Getsemani è ancora Gesù che chiede ai soldati (tra loro c’è anche Giuda!!): Chi cercate? Gesù Nazoreo – rispondono. E Gesù: IO SONO, riferendo a sé l’antico nome con cui veniva chiamato Dio Nell’A.T. Non ci fermiamo. Ci fermiamo sulla terza volta quando Giovanni mette in bocca a Gesù la domanda. Siamo nel giardino del sepolcro e alla Maddalena che piange Gesù chiede: CHI CERCHI. Ma la Maddalena, chiusa nel suo lutto, nella sua morte, non capisce. Solo quando la chiama per nome, Miriam, con quel timbro, quella cadenza, quel tono ricco di ricordi, scatta la risposta di fede: Rabbuni!. Nome con cui nel tardo giudaismo le mogli di uomini famosi chiamavano i loro mariti.
Ma una quarta volta risuona la domanda: questa sera, qui nella nostra Assemblea: Cosa cercate? Chi cercate^ Chi cerchi? A questo punto sono io l’altro discepolo: mi sento chiamare personalmente da questo uomo? Questa sera la mia riposta sarà affermativa se, guardandomi indietro, posso rendermi conto che è la domanda che mi sta accompagnando da quando ero piccolo: Nando, cosa, Chi stai cercando? Ci siamo mai incontrati noi due?!