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(Per approfondimenti puoi leggere il fascicolo con spunti di meditazione)

Premessa: L’Epifania è festa leggibile da varie angolature. Così avviene ancora oggi nelle varie chiese cristiane. Sono offerte due sentieri di approccio: Matteo- Lettera Efesini. Per chi ha tempo e desiderio…

Dal libro del profeta Isaia (60,1-6) (Apri la versione PDF)

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

Dal Salmo 71

Rit: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto. R.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra. R.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti. R.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri. R.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (3,2-3.5-6)

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.

Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Annunzio del giorno della Pasqua

Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno.

Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.

Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 21 aprile.

In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.

Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:
Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 6 marzo.
L’Ascensione del Signore, il 2 giugno.
La Pentecoste, il 9 giugno.
La prima domenica di Avvento, il 1° dicembre.

Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.

A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen.

Dal Vangelo secondo Matteo (2,1-12)

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

[A] RACCONTO DEI MAGI - Mt 2, 1-12

I MAGI: UN MIDRASH PASQUALE

Per cogliere il senso del racconto dei magi è indispensabile chiarire il genere letterario a cui appartiene: il genere midrashico. Si tratta cioè di un racconto – con al cuore una citazione biblica – che annuncia per immagini una verità difficile da enucleare. Ai personaggi reali si mescolano e si intrecciano, senza preoccupazioni di spazio e di tempo, personaggi simbolici. Il midrash, come la parabola, è un racconto aperto, di non facile lettura. La verità di questo racconto non sta nell’esattezza cronologico-descrittiva, ma nell’annuncio teologico che porta in sé.

Cerchiamo di cogliere e decodificare il senso dei personaggi che si muovono attorno al protagonista: Il Re dei giudei che è stato generato (traduzione letterale).

I Magi. Sono il simbolo della sapienza, della ricerca, del mondo pagano. Simbolo dell’uomo che cerca Dio. E in questa ricerca, il sapiente pagano ha la “stella”, cioè la natura, gli elementi della scienza. L’oriente era molto ricco di queste esperienze: astrologi, fisici, matematici, filosofi... Questi magi sono in movimento, guidati dagli elementi della natura sintetizzati nella “stella”.

I Sommi Sacerdoti. Sono gli esperti delle Scritture. Sono il simbolo della religione che attendeva il Messia. Sanno tutto – o quasi! – sul Messia. A chi chiede informazioni sanno rispondere con estrema esattezza. Attraverso l’incontro tra i Magi dall’oriente e i Sommi Sacerdoti di Gerusalemme, Matteo fa il suo annuncio: l’uomo giunge alla conoscenza di Dio, all’incontro con Dio, quando sa coniugare insieme i due elementi: il dato naturale e il dato rivelato. Dio si incontra con noi quando noi siamo disposti ad incontrarlo, quando ci lasciamo incontrare da Lui.

A questo punto, Matteo diventa polemico: i pagani hanno incontrato il Messia, i Sommi Sacerdoti, cioè Israele, non lo ha incontrato. Pur conoscendo le Scritture, i capi dei sacerdoti e gli scribi non hanno fatto il ben che minimo sforzo per incontrarlo.

Il centro di tutto il brano è Gesù-Re dei giudei che è nato. È lui che mette tutti in movimento: Magi, Sommi sacerdoti, Scribi, Erode… Ciascuno ha uno scopo proprio, un proprio fine da raggiungere: incontrarlo, definirlo, eliminarlo…

È nell’evento della Pasqua che Gesù di Nazareth si manifesta ed è proclamato «Re dei Giudei»: ricordiamo il titulus crucis, l’iscrizione che Pilato fa apporre alla croce: «Questi è Gesù, il Re dei Giudei» (Mt 27,37). Comprendiamo pertanto che il racconto dei magi è un racconto pasquale, scritto alla luce della Pasqua e comprensibile solo a partire dagli eventi pasquali, anche se ambientato dall’autore nel tempo della nascita.

L’evangelista Matteo, con questo testo, sembra voler fare epifania, togliere il velo, su una verità che l’uomo stenta ad accettare: l’uomo cerca Dio perché Dio per primo ha cercato l’uomo. Quanta libertà e quanto mistero in questo cercarsi-nascondersi tra Dio e uomo! L’uomo, spinto dalla propria stella, trova nel «così è scritto» (Mt 2,5) il punto di svolta del proprio cercare. Dio va incontro all’uomo in quell’infante (paidion in greco), in quell’Uomo della croce.

Può risultare grave, allora, cercarlo non come Lui si è fatto conoscere, ma come a noi piace, secondo le nostre ipotesi. Il libro della Sapienza parla di ragionamenti insensati (Sap 11,15): sia quando diciamo “non credo in Dio”, sia quando diciamo “credo in Dio” e pensiamo ad un nostro Dio, fatto a nostra immagine… L’incontro con il Dio rivelato in Gesù Cristo, fa cambiare a noi la strada! I Magi ritornano per altra strada (Mt 2,12). I pastori fecero conoscere sulla parola annunciata loro (Lc 2,17): da peccatori, immondi, si fanno testimoni e missionari. A noi, cercatori di Dio, Giovanni raccomanda: nessuno Dio ha visto mai… Lui lo ha svelato (Gv 1,18).

Magi, pastori e il Verbo fatto carne

Magi, Pastori… l’uomo cerca Dio perché Dio per primo ha cercato l’uomo. Cerchiamo di vedere alcune tappe di questo cammino di ricerca.

Appena inizio a prendere coscienza – di chi? di cosa? – inevitabilmente mi scopro lontano dalla meta. I Magi vengono da oriente, da lontano, dall’altra parte del mondo. Anche i pastori vengono da lontano, lontano dalla convivenza normale del popolo fedele alla legge. Per i pastori non si tratta di lontananza fisica come i Magi, ma di una lontananza religiosa, morale, umana.

Si può prendere coscienza della propria lontananza solo per un intervento che va oltre il proprio ragionamento. Occorre una stella (l’astrologia, la scienza…) per i Magi, i sapienti, gli studiosi; un Angelo, una voce dall’Alto (Dio, il suo desiderio di cercare l’uomo) per i Pastori, i peccatori, gli ultimi.

I Magi, come i Pastori, non rifiutano l’invito, partono subito, disposti a compiere un lungo viaggio. Viaggio che avviene di notte, con le incognite e i pericoli della notte; viaggio la cui meta resta oscura. Si basa solo su una stella, una luce nella notte. Tutto può accadere nella notte e la stella, ad un certo punto, tramonta: proprio quando arriva il giorno e tutto sembra chiaro, la stella non c’è più e la luce si spegne da un momento all’altro…

C’è uno snodo: la Parola! Per i Magi è una Parola scritta («così è scritto» Mt 2,5); per i Pastori è una parola annunciata («vi evangelizzo una grande gioia» Lc 2,10). Quella Parola indica la Meta. L’indicazione della Parola non sbaglia; il modo di trovare/vedere non è uguale per tutti: per Matteo i Magi vedono Lui nella casa (Mt 2,11); per Luca i Pastori trovano Lui nella mangiatoia (Lc 2,16); Giovanni testimonierà di aver contemplato Lui nella carne (Gv 1,14). Matteo parla di paidion (Mt 2,11), Luca di brefos (Lc 2,16): nelle nostre traduzioni troviamo semplicemente bambino. La Chiesa, con grande intelligenza, ha accettato entrambe queste versioni per dire che la Meta finale non spetta a noi trovarla. A noi spetta solo cercarla, magari intravederla, fidandoci che sarà l’ultima Epifania di Dio a manifestarcela…

Una cosa sembra certa: per comprendere quel paidion/brefos, cioè quel Bambino, cioè quell’Uomo, noi abbiamo bisogno di una Parola. Le nostre stelle non sono in grado di portarci alla Meta. D’altra parte, quell’Uomo è la Parola: la sua vita è il punto di incontro tra Dio che cerca l’uomo e l’uomo che cerca Dio. Per noi ora, la Meta è farci discepoli di questo Uomo che continua a spiegarci Dio, a farsi compagno di viaggio verso la Meta ultima e definitiva. Qui il punto d’incontro tra le riflessioni di Matteo-Luca e quella più matura di Giovanni. Tre strade solo apparentemente diverse: tutte tre portano a quell’Uomo.

[B] EPIFANIA o MANIFESTAZIONE DI DIO NELLA CARNE Ef 3, 2-2.5-6

L’Autore si sente dentro al mistero della grazia di Dio a favore dei pagani. Egli sottolinea che questo ministero della grazia gli è stata affidata per rivelazione, non se l’è inventato lui: v. 3. Non è lui che si è autoproposto, si è proclamato apostolo dei incirconcisi; sta all’interno della vocazione, della chiamata da parte di Dio. Questo mistero, nella persona di Cristo è stato svelato ai santi apostoli e profeti.  Questo è un linguaggio ecclesiale di una certa intensità, sembra quasi una proclamazione liturgica. E’ stato rivelato, è più chiaro oggi a noi che non alle generazioni precedenti. Cioè: in Cristo gli uomini, provenienti da qualunque cultura, da qualunque ambito, possono formare un unico corpo con coloro che provengono dall’ebraismo IN CRISTO. Sono partecipe della stessa eredità IN CRISTO. Sono destinatari della stessa promessa IN CRISTO. Cristo al centro dell’universalismo cristiano.

Qui abbiamo tutta una serie di verbi: condividere la stessa eredità, essere concorporei, essere compartecipi della promessa… Sempre si sottolinea quel prefisso con: insieme! Ancora una volta, siamo di fronte ad una affermazione interessante, universalistica, ma che deve trovare evidentemente delle attuazioni.

Universalità è un elemento fondamentale, radicale per il cristiano; abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro. O decliniamo così l’universalismo o continuiamo a vederlo come una sorta di conquista in cui occorre andare a portare la bandiera cristiana anche sull’ultimo lembo di terreno, senza calcolare che l’evangelizzazione comincia da zero con ogni uomo che viene al mondo. Non è tanto da leggersi spazialmente, ma temporalmente. La trasmissione della fede avviene attraverso cesure, la cesura della morte, la cesura delle generazioni. Qui è il dramma: tutto ricomincia con ogni uomo che viene al mondo. Qui si tratta davvero di entrare in una teologia dell’esilio, una teologia della dispersione, in una teologia non tanto frutto della conquista cattolica, ma dell’incontro con l’Altro, imparando a parlare le lingue degli altri come avviene alla Pentecoste, convinti della trans-culturalità del messaggio evangelico. In altre parole: non tanto le forme culturali sono quelle decisive, ma l’umano che io incontro in ogni luogo, si trovi al Polo Nord, nell’Africa Australe; c’è un umano che mi avvicina ad ogni uomo, quali che siano gli istituti culturali, le istituzioni culturali che certo si differenziano enormemente. E’ lì la centralità dell’umano come possibilità di arrivare a parlare un linguaggio comprensibile ad ognuno; evitare di far passare per vangelo ciò che è forma culturale.

Come dire: parlando di Gesù, non intendiamo un restringimento particolaristico, Gesù è l’uomo. Proprio perché la rivelazione di Dio si manifesta pienamente nell’umanità di Gesù, nella pratica di umanità di quell’Uomo preciso; proprio, paradossalmente, l’umanità di Gesù, in ciò che ha di comune con ogni umano, rende universalistico quella rivelazione così particolare. Per cui si tratta di cogliere veramente l’umano come il punto naturale di intersezione della fede. E’ l’umano il punto naturale in cui la fede si può arrivare ad innestare. E ‘ lì, solo lì.

Ecco, allora, la Verità Cristiana non può diventare idolo; facilmente la verità diventa idolo! Quando sostituiamo la verità che è Gesù, che è in Gesù, con altre verità, la sostituiamo con delle definizioni: inventiamo dei dogmi, delle affermazioni linguistiche su Dio. Dio è molto più grande delle affermazioni su Dio. Evidentemente tutto questo ci porta anche a cogliere l’altro non come nemico ma come fratello. Questo è il discorso universalistico che il nostro autore fa. Discorso estremamente impegnativo, difficile.

EPIFANIA. Non riduciamola a tre Magi che vengono dall’Oriente carichi di fiaba più che di annuncio pasquale. La festa dell’Epifania in molte comunità dei primi secoli era la festa della luce. In alcune chiese era la Festa della nascita di Gesù. Solo in seguito le due feste vengono separate e solo tardivamente (con S. Agostino?) nel giorno dell’Epifania si incomincia a leggere il racconto dei Magi (Matteo, 2, 1ss). Il termine “Epifania” deriva dal greco antico e significa “manifestazione”, “apparizione divina”, “venuta”. In Gesù uomo, Dio si Manifesta, si fa conoscere. E’ la “manifestazione del Signore al mondo", è la grande novità cristiana.

Il fatto che questi personaggi di fantasia fossero tre così come il fatto che si chiamassero Melchiorre, Baldassare e Gaspare fu introdotto dalla Chiesa solamente nel Medioevo; nè il Nuovo nè né l’Antico Testamento danno infatti indicazioni precise sul numero e l’identità dei Magi. Pare che furono scelti nomi diffusi all’epoca tra i sovrani indoeuropei e la Persia.

Inoltre, le tradizioni delle varie chiese sono a volte divergenti: alcune chiese festeggiano unicamente l’adorazione dei Magi, altre commemorano anche le nozze di Cana o il Battesimo di Gesù al Giordano: ma l’adorazione dei Magi è sempre l’oggetto principale. Per la chiesa di Ravenna e di Torino, i sermoni di Pietro Crisologo e di Massimo di Torino parlano dei tre eventi commemorati: l’adorazione dei magi, il Battesimo di Gesù, le nozze di Cana. Comunque gradualmente l’adorazione dei Re Magi al Cristo divenne centrale nella festa dell’Epifania.

Leggende e interpretazioni si sprecano. I Padri della Chiesa ne hanno date diverse.  Sant'Ireneo spiega il significato dei tre doni: la mirra è l'olio tradizionalmente utilizzato per la sepoltura e allude alla Passione di Cristo, l'oro è simbolo di regalità, l'incenso è riservato a Dio. Nel XII secolo, invece, Bernardo di Chiaravalle spiegherà che l'oro era per alleviare la povertà della Vergine, l'incenso per disinfettare la stalla di Betlemme e la mirra come un vermifugo. Lutero, quattro secoli dopo, li associa a fede, speranza e carità, le tre virtù teologali. Un'altra leggenda armena vuole che i Re Magi fossero fratelli.

I MAGI SIMBOLO DI CHI È IN RICERCA DI DIO

Al di là delle leggende, sterminate, la Chiesa li ha sempre considerati come simbolo dell'uomo che si mette alla ricerca di Dio. Sono il simbolo dell’uomo “in ricerca” di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare (Benedetto XVI).