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בְּרִ֔ית
ALLEANZA

Parola nella seconda riga dell’icona di Mosè
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Presso gli Ebrei "alleanza" indicava il rapporto di convivenza di due parti, con i diritti e i doveri che ne derivavano. Nella Bibbia, il termine ricorre per ricordare l'alleanza tra Yahweh e l'umanità, per esempio quando, dopo il diluvio universale, Yahweh, fa il patto di non sterminare più l'umanità con l'inondazione completa della Terra e a riprova di ciò indica l'arcobaleno come simbolo di tale patto. Tra le molte alleanze tra Yahweh ed il popolo d'Israele, la più importante è quella avvenuta sul monte Sinai. Nel corso della storia, poi, a motivo delle continue infedeltà ai “patti di alleanza” Dio rinnoverà più e più volte questa alleanza, fino alla ”Alleanza nuova” nella Pasqua di suo Figlio Cristo Gesù.

La parola usata per dire alleanza è בְּרִ֔ית (berit) che significa impegno. Tradurre alleanza non rende piena giustizia al suo vero significato. Infatti «Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» è la formula che nella Bibbia indica l’impegno solenne che Dio si assume di fronte al suo popolo. Su tale impegno si fonda l’intera rivelazione biblica. La Bibbia contiene varie narrazioni di alleanze, che presentano caratteri differenti, che si è soliti classificare come “alleanze unilaterali”, quelle in cui è solo un partner (Dio in questo caso) ad impegnarsi, e “alleanze bilaterali”, quelle in cui sono tenuti agli impegni entrambi i partner. Tutta la storia biblica, però, testimonia che le varie alleanze hanno sempre avuto un solo partner fedele: Dio! Solo Gesù di Nazareth è stato fedele alla alleanza con Dio. Questo significa alleanza nuova (Mc 14, 24): questa Nuova Alleanza la celebra come Pane spezzato e Sangue versato (linguaggio parlante per dire dono della propria vita!) invitando ciascuno di noi a mangiare e a bere: cioè a fare altrettanto!

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA [Gn 9, 8-15; Sal 24; 1 Pt3, 18-22; Mc 1, 12-15]

Genesi

Dio è di fronte alla nuova umanità nata dall’acqua del diluvio. Si era pentito di avere creato l’uomo (Gn 6,6); il diluvio viene letto come castigo di Dio per il peccato dell’umanità. Dopo il diluvio, Dio sembra essersi pentito di questa “punizione” e fa una solenne promessa: Non maledirò più il suolo…perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza... (Gn 8, 21)[1]. A quel punto Dio si impegna con una solenne promessa (=alleanza) nei confronti dell’uomo. Dio pone un limite simbolico perché la violenza non sia strumento della bramosia e un limite più concreto dicendo che lui sarà dalla parte della vittima; Dio si impegna solennemente a non usare più della violenza per ostacolare la violenza.

La strategia per rispondere alla violenza sarà l’alleanza. Cioè Dio decide di lottare contro la violenza che distrugge con l’alleanza che costruisce rapporti. Decide di combattere la violenza che divide gli uomini con l’alleanza che li unisce e li lega l’un all’altro. Decide di lottare contro ciò che uccide con ciò che dà vita, l’alleanza. Quindi Dio ormai rinuncia alla violenza per scegliere un’altra strada: combattere la violenza con il suo contrario, l’alleanza.[2]

E in segno di questa scelta, Dio depone le armi; prende l’arco, che è un’arma di aggressione e lo mette nella nube; e questo arco nella nube (che non è un arcobaleno, ma è l’arco di guerra) esprime l’armistizio di Dio. Questo arco nella nube, poi, diventa il segno della alleanza visto che l’arcobaleno (stavolta è l’arcobaleno) parte dal cielo e raggiunge la terra.

Nell’arcobaleno i colori sono distinti ma in modo sfumato e questo è un segno di alleanza che non vuol dire uniformità, ma la distinzione nell’armonia. E’ il progetto di Dio dell’inizio e quest’arco nella nube imita il firmamento che Dio aveva messo nel secondo giorno all’interno delle acque. L’alleanza valorizza le differenze, come l’arcobaleno valorizza i colori e le differenze armonizzandoli. Questa rinuncia di Dio alla violenza è segnato da quest’arco deposto nella nube che diventa arcobaleno, segno di alleanza.

Marco

Gesù – pure lui – in tutta la sua vita ha dovuto reagire contro la tentazione del potere, della violenza. La descrizione del deserto propone lo scenario nel quale Gesù eserciterà la sua attività. Si troverà in una società nella quale verrà continuamente tentato di abbandonare il suo impegno per diventare un capo politico in vista della conquista del potere («satana»). Non dimentichiamo che il deserto era tradizionalmente il luogo degli agitatori con pretese messianiche. La tentazione del deserto è quella tipica del capo che arruola seguaci con l’intenzione di conquistare il potere. Nel deserto si ripropone a Cristo la tentazione di un messianismo di violenza; la tentazione sarà inefficace.

Nota: qual è il significato della parola Alleanza?

Qual è il suo significato originario? Secondo alcuni significa “mangiare”, in riferimento al banchetto che accompagna la cerimonia di alleanza. Secondo altri deriva da una preposizione che significa “fra”. Secondo altri ancora significa “scegliere”, “determinare”, “fissare”. Il senso più ovvio sembra essere quello di “vincolo”, “catena” e, quindi, “patto vincolante”. L’alleanza avviene sempre tra due parti diseguali; anche il valore e la portata cambia. L’alleanza con Noè è pensata come una promessa, sembra avere come unica parte vincolante Dio. E’ un impegno radicale, da parte di Dio, è una nuova creazione, all’uomo spetta soltanto il compito di accogliere questo impegno gratuito di Dio. Benchè si presupponga la fedeltà da parte dell’uomo verso Dio, questa non è menzionata come condizione perché sia realizzata la promessa.

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA [Gn 22, 1-2, 10-13.15-18; Sal 115; Rm8, 31-34; Mc 9, 2-10]

Questa Domenica è intensamente illuminata da due perle: L’esperienza drammatica dell’alleanza di Abramo, il racconto della trasfigurazione di Gesù durante il suo cammino verso Gerusalemme.

Abramo: un’alleanza dolorosa e illuminante

«Va’» («vattene» Gen 12, 1) traduce la Bibbia CEI. «Va pour toi» traduce in lingua francese l’ebreo Chouraqui, sia qui sin Gen 12,1. Cioè: «Va’», «Va’ verso te stesso, alla tua vocazione». Sembra quasi di intravedere, da parte di Dio, non un semplice comando ma una esortazione paterna rivolta ad Abramo (ad ogni uomo?): «Abramo, è bene per te partire, non restare fermo…». Abramo è invitato ad iniziare un nuovo viaggio verso se stesso per andare alle radici della propria chiamata (Gen 12).

Anche il modo con cui Dio si rivolge ad Abramo ha dentro un percorso: Prendi tuo figlio (ne ha due), il tuo unigenito (ciascuno è unigenito di due madri diverse) che ami (li ama ambedue), Isacco (non c’è più alcun dubbio, Dio vuole lui, è arrivato al cuore!). Eppure, in ebraico, il testo è ancora ambiguo: deve portare Isacco per offrire un sacrificio di ringraziamento per il dono del figlio o rinunciare a trattenere il dono e offrirlo a colui che glielo ha donato?! Abramo sopporta questa tensione fino al momento in cui fa la scelta radicale. Il mistero del fidarsi ha radici molto lontane: ed è sempre una lotta!!!

Adonay fece un test (è lo stesso termine che ritroviamo nel Padre nostro, dunque non tentazione…) ad Abramo e gli disseIncomincia così il racconto. Ordine di Adonay: Prendi, ti prego, tuo figlio, il tuo unito/unico.........e fallo salire...

Così formulato, l'ordine ha due significati: 1) Isacco è la vittima che Adonay vuole in olocausto, ucciso e bruciato sull'altare. 2) Adonay chiede ad Abramo di salire sulla montagna con Isacco per offrire un sacrificio ad Adonay, per fare olocausto, affinché Isacco sia educato nell'offrire olocausti ad Addonay.

L'espressione: Sali in salita con Isacco per un olocausto è un ordine ambiguo. Cosa vuole Adonay? La domanda che si fanno Abramo e il lettore è la stessa.  Ma il lettore e Abramo non sono nello stesso stato di cuore e mentale. Il lettore sa che è un test, cioè procedimento che si mette in atto per sapere qualcosa che uno non sa. Dio sa cosa c’è nel cuore di ciascuno di noi. Ma Dio ti mette alla prova perché tu sappia consa c’è nel tuo cuore (Deut 13).

Il lettore si domanda: Quale è l'oggetto del test? E come Abramo lo supererà? Per Abramo la domanda è: Cosa vuole Adonay da me, cosa mi chiede? Offrire Isacco in sacrificio oppure Offrire un sacrificio con Isacco? I servi pensano che andranno là e poi torneranno.

Interroghiamoci e riflettiamo sul dilemma di Abramo: Chi è Isacco, l'oggetto del Test? È quel figlio che Abramo aspetta fin dall'inizio della sua avventura con Adonay. Fin dall'inizio Abramo attende il figlio della promessa. Per venticinque anni farà un cammino paziente. Prima di ricevere questo figlio ha cercato altre soluzioni. Venticinque anni dei settantacinque fino ai cento è teso verso questa nascita di Isacco, che deve essere il primo di una discendenza promessa nella benedizione di Adonay. Isacco è diventato anche l'unico, perché Ismaele è andato.

Può davvero Adonay chiederlo indietro ad Abramo? Può Adonay dire che la speranza è finita? Che è finita la promessa? La discendenza?... Se Abramo lo uccide, uccide il progetto di Adonay.  Ma se farà solo un olocausto con Isacco, avrà corrisposto alla parola di Adonay? Il test verte esattamente sul figlio: cosa farà Abramo con questo figlio unito? Il test riguarda il dono supremo che Adonay ha fatto ad Abramo. Il test non è estraneo al dono, riguarda il dono.

Un dono, un regalo, costituisce un test. Abramo, vedrà qualcosa per sé, nella logica della bramosia o un dono per l'alleanza. Come riceverà Abramo il dono? Come un figlio per lui che soddisfa le sue attese? Oppure come un segno dell'amore di Adonay?

IL TEST (LA PROVA) È RADICATO NEL DONO. Verifica il rapporto tra Adonay e Abramo, e verifica il modo con cui Abramo vivrà la sua paternità nei confronti di Isacco. All'inizio: Vattene dalla casa di tuo padre (Lek Lekà). Questa espressione è riportata anche qui.

Prima lascia il padre. Ora lascia il figlio. È proprio l'espressione Lek Lekà che rivelerà un legame tra l'inizio e la fine del racconto. Nella lingua ebraica si sente molto bene nel suono delle parole (Tuo..tuo..tu..Tah..ha). Deve prendere proprio il figlio che è suo, tanto unito che ormai è unico.  Unito, unico, il figlio del suo amore. Quale? L'unico. Isacco: dice Adonay!

Abramo amerà Isacco fino a lasciarlo figlio libero? Ma Isacco è per Abramo o per Adonay? Per Adonay, che fin dall'inizio di Genesi continua a separare per consentire agli uomini di essere liberi e separati per poter stringere alleanze?

Marco: il Figlio che liberamente attraversa il test: la Croce!

Monte per Isacco, monte per Gesù. Questa volta il Figlio…

...dopo sei giorni... La trasfigurazione avviene sei giorni dopo l’annuncio della croce. Siamo quindi nel settimo giorno, fine della creazione. La trasfigurazione è al settimo giorno. Come dire: la luce che trasforma tutta la mia vita e mi fa vedere finalmente la verità mia e di Dio è la visione di un Dio crocifisso per mio amore: questa è la novità assoluta del cristianesimo, è luce accecante! Da “settimo giorno”, cioè da contemplare, non da capire!!!.

...una voce dalla nube... Dio non ha volto per essere visto, ha voce per essere ascoltato. Memoria dell’Esodo, memoria di Dio che parla a Mosè dalla bufera del Sinai. (Vedi Battesimo).

...Questi è il Figlio mio, il diletto... Ascoltate lui...   Riconoscimento ufficiale e solenne. Gesù è il figlio, parola definitiva del Padre; per questo dobbiamo ascoltarlo, in quanto rivela il suo e il nostro cammino. Dall’ascolto inizia la nostra trasfigurazione. Gesù è il profeta definitivo promesso da Mosè per l’esodo definitivo verso la libertà dei figli. Sia il Padre, sia il Figlio supereranno il test. Il Padre lascia libero il Figlio di andare in croce: Talmente Dio gratuitamente amò il mondo che diede (spezzò il Pane e lo diede…) suo Figlio… E il Figlio, proprio nella morte in croce, rivelerà quello che effettivamente sta nel suo cuore: … prima della festa di Pasqua…avendo amato i suoi li amò fino alla fine… (Gv 13, 1).

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA [Es 20, 1-17; Sal 18; 1 Cor 1, 22-25; Gv 2, 13-25]

Domenica centrale per la nostra riflessione sul Dio delle Alleanze! E’ la Domenica in cui la Liturgia proclama le 10 Parole.

Il capitolo 20 è la continuazione del grande racconto della alleanza al Sinai. Dopo l’annuncio dell’alleanza (capitolo 19) e prima della sua celebrazione (capitolo 24) sono poste qui le “clausole dell’alleanza” pronunciate da Dio: sono il cosiddetto “decalogo” (alla lettera: dieci-parole).

Le dieci parole pronunciate da Dio

Con dieci Parole Dio ha creato il mondo, con dieci Parole Dio inaugura l’Alleanza. Il decalogo è un atto “creativo” ed un “dono” che viene direttamente da Dio!  Le dieci parole sono dunque da capire in una prospettiva “rivelativa” e non “etica o legislativa” perché quando Dio crea rivela sempre chi lui sia! Queste parole ci dicono chi è il nostro Dio. In altre parole: prima di parlare di obblighi da parte di Dio (comandamenti!) sono un dono per comprendere il suo cuore.

Una cosa salta subito all’occhio osservando l’ordine e l’equilibrio con le quali sono pronunciate le 10 parole: ci sono parole riguardanti la relazione con il Signore e parole riguardanti la relazione con il prossimo. Tra esse c’è una sorta di continuità, e non di distinzione, a significare che la relazione con Dio o con gli uomini sono messe sullo stesso piano.

Iniziano con una premessa assolutamente necessaria, l’annuncio della salvezza (ti ho fatto uscire dalla terra di schiavitù!). Come dire: solo uomini liberi, salvati, possono stare in rapporto amicale con Dio. Se il Signore non avesse compiuto tutto questo a favore del suo popolo tutte le sue parole non potrebbero reggere! Sarebbero solo un insieme di imperativi.  “Sei un uomo libero, chiamato alla libertà, se agisci in altro modo, vuol dire che non sei un uomo libero!”

È il Dio go’el (il Liberatore) che proclama le 10 parole ed è garante, attraverso di esse, della libertà del suo popolo! Libertà nell’obbedienza al Signore perché fatta nella pienezza dell’amore!

Le 10 parole sono “incarnate” in un tempo e in una cultura ben precisa e molto lontana da noi, ma hanno in sé una verità universale e invariabile nel tempo! E l'obbedienza che viene chiesta come risposta è sempre all'interno di un amore che la trascende, la fortifica e la rende possibile. Noi possiamo essere obbedienti soltanto perchè l'amore e il perdono di un altro ce lo rendono possibile. A volte pensiamo che sia il castigo che fa diventare uno obbediente: no!!! E' l'esperienza del perdono.

Questa è la logica che troviamo all'interno dell'alleanza: si può obbedire solo se si viene perdonati e solo se si ama. Guai se leggiamo l'Esodo come alleanza del Sinai e come incidente del vitello d'oro!

Giovanni

Il rito dell’agnello era il momento in cui il popolo celebrava e rinnovava la propria alleanza con Dio. Quel rito ormai risultava senza senso: Lui, Gesù, è l’Agnello, cioè la vera garanzia di una alleanza Nuova e definitiva. Basta agnelli, basta sacrifici!

Trovò nel tempio. Per Giovanni questo è il primo atto pubblico di Gesù: Gesù entra nel tempio. Il profeta Malachia aveva detto: Il Signore, nel giorno della sua venuta, subito entrerà nel tempio. (Mal 3,1). Questo significa che l’attesa annunciata da Malachia si compie. (Zc 14, 21).

E’ vicina la Pasqua dei Giudei. Il luogo riservato ai “gentili” aveva lasciato posto al commercio: chi veniva da lontano, qui trovava la possibilità di effettuare il cambio di moneta e di comperare gli animali da offrire al tempio. Quindi era una cosa sacrosanta! Però, in questo modo, non c’è più posto per i “gentili”, pagani, chi non apparteneva al popolo ebraico. Gesù dice che ormai gli animali non servono più e ridà quel luogo ai pagani! Questo è lo scandalo!!! Gesù chiede di portare via le vittime, quelle non servono più. Debbono scomparire i venditori perché ormai al tempio non c’è più niente da comperare! E’ vero, è vicina la Pasqua: la gente deve venire a comperare le vittime e se vengono portate via come sarà possibile celebrare il sacrificio pasquale? Ma quelle ormai non servono più, basta lui per fare la vera Pasqua!!!

Amarissima conclusione di Giovanni. Gesù non metteva fede nella loro fede. Siccome è una fede che non arriva a credere alla Scrittura e alla Parola di Gesù non mette fede nella loro fede­. Le persone che ascoltano pensano di aderire a Gesù. In realtà vedono solo una conferma di quanto pensano; di conseguenza Gesù non aderisce alla loro fede vuota, basata sul vedere e non null’ascolto.

Basta parlare del “sacrificio”, dunque; parliamo solo di dono! L’Eucarestia insieme alla mia Comunità (in cui ci sono ancora i “gentili” e io forse sono tra questi…) è un precetto o il dono settimanale di Dio da cui dipendono tutti gli altri? Celebro “tutta” l’Eucarestia, oppure mi limito a valutarla a partire dalla predica “originale”, dai canti…? Colgo in quella Celebrazione il rinnovato impegno di Dio nei miei confronti?

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA [2 Cr 36, 1-4.19-23; Sal 136; Ef 2, 4-10; Gv 3, 14-321]

Dio è fedele alla sua alleanza, anche se il popolo non è fedele: ha veramente deposto definitivamente l’arco!

 Ripercorriamo la Liturgia della Parola scorrendo insieme le tre letture bibliche questa Quarta domenica e e lasciandoci guidare da quattro parole.

  1. L’evento.
    A questa prima parola bisogna aggiungere un aggettivo: tragico. Si tratta della distruzione della Città di Gerusalemme avvenuta nel 586 ad opera dei Caldei. L’episodio è narrato nel 2 libro delle Cronache (36,14-16.19-23). Una città distrutta significa vedere distrutte non solo le case e le strade e i ponti, ma soprattutto le persone, gli affetti, le relazioni. Abbiamo tutti negli occhi le terribili immagini di una città distrutta durante una guerra o il crollo delle due Torri… Dice il testo biblico che proclameremo: “incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi”. Conseguenza della distruzione della città la deportazione della popolazione in terra straniera, l’esilio a Babilonia. Il salmo 136 esprime tutto il dolore del popolo per essere stato sradicato dalla sua terra: “Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». Come cantare i canti del Signore in terra straniera?”.
  1. La ragione dell’evento.
    Perché questo evento così tragico? Quale la ragione? La risposta è: perché “tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme” (v.14). Perché la deportazione, lo sradicamento dalla propria terra, l’esilio? Fu una prova che Dio mandò per purificare il popolo dal suo peccato. In altre parole: il popolo ha rotto l’alleanza vivendo da schiavi e non da uomini liberi e Dio agisce di conseguenza. La punizione – l’esilio – era vista con un castigo di Dio per le trasgressioni commesse.
    Ma riflettiamo: non ci fu solo l’esilio e la deportazione del popolo ebraico a Babilonia: ci sono anche i nostri esili, le nostre deportazioni: ognuno può verificare in se stesso quante situazioni di morte ci sono nella propria vita; esse sono occasioni per rinnovarsi, per rifondare la propria alleanza, la propria fede in Dio e rimotivare la propria scelta del Signore.  Dio non è la causa delle nostre “croci”. E’ un discorso delicatissimo, rischiamo di confondere il Dio Padre con il Dio giudice nemico dell’uomo! Tutta la nostra vita deve diventare un’occasione per fare Teshuvah (=ritorno!), cioè riscoprire il nostro rapporto con Dio, il senso della nostra vita. Dobbiamo essere sinceri e onesti: è per noi molto naturale tirare in ballo Dio nelle nostre “morti” dimenticando che suo Figlio – come ogni uomo – ha attraversato queste morti! E’ il senso della Quaresima che stiamo vivendo.
  1. L’annuncio
    La terza parola è annuncio: esso consiste in un ‘vangelo’, in una buona notizia. Dice la prima lettura: Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora (v.15). Ma soprattutto Dio decise di far intervenire un re pagano, Ciro re di Persia, per riportare il suo popolo a casa. E la pagina di san Paolo (Cfr Ef 2, 4-10): Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. E il Vangelo (Cfr Gv 3,14-21): “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Ecco l’annuncio: Dio continua ad amare il suo popolo, Dio è fedele, Dio non viene meno alle sue promesse: DIO RIMANE FEDELE AL SUO IMPEGNO [בְּרִ֔ית] Cantiamo con un inno quaresimale: “Grande Signore è il nostro peccato, ma più grande è il tuo amore!”. Questo è il modo di rapportarsi di Dio con noi! E – da notare – chi riflette in questo modo non ha ancora fatto esperienza della Pasqua di Cristo!
  1. L’impegno.
    Ma all’annuncio segue l’impegno: ecco la quarta parola, espressa dal versetto che chiude la prima lettura: “Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!"» (v.23). Ciro invita il popolo a ritornare a casa e a salire. Bisogna infatti compiere un cammino in salita, da Babilonia alla Palestina; soprattutto c’è da salire al monte Sion là dove era stata costruita la città. Salire: il ritorno è in salita. E’ un’immagine bellissima della conversione. Per convertirsi, per cambiare vita, per rinnovarsi c’è da salire. Occorre fare Teshuvah: solo in questo modo noi di e in quella libertà che caratterizza i figli di Dio, quelli che vivono in bellezzza [..[בְּרִ֔ית con Lui!   Siamo ormai al termine del cammino quaresimale; ormai la pasqua è alle porte: sto camminando interiormente? Sto salendo verso il Signore? O mi ritrovo ancora in valle, ai piedi della montagna, indeciso…?

QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA [Ger 31, 31-34; Sal 50; Ebr 5, 7-9; Gv 12, 20-33]

Chicco di grano che muore...

Con una metafora Gesù spiega il contenuto e il significato dell'«ora» che ormai incombe sulla sua vita: come il chicco di grano egli deve morire perché tutti abbiano la possibilità di entrare in comunione di vita con il Padre. La morte era vista come il luogo più lontano da Dio; se il Figlio l’attraversa, vuol dire che nulla può più separarci da Dio! E’ l’Alleanza definitiva!

Pieno compimento dell'alleanza

La prospettiva della gloria e della pienezza della vita non toglie nulla alla drammaticità della croce. L'ora segnata dal Padre e liberamente accolta da Gesù è anche l'ora della sofferenza che egli non vive in modo imperturbabile. Il progetto omicida del potere che Gesù intravede con sempre maggiore lucidità, produce un profondo turbamento nel suo animo (vangelo e seconda lettura) insieme alla  tentazione di sottrarsi a una morte disumana e infamante.

Tuttavia si affida senza riserve all'amore del Padre, con un gesto di totale abbandono che è donazione libera e perciò feconda di vita. Il frutto che scaturisce dall'offerta incondizionata di Gesù è il pieno compimento della promessa divina espressa dal profeta Geremia (prima lettura): la nuova alleanza. Nuova perché il rapporto di comunione che Dio stabilisce con l'uomo è senza precedenti, non è condizionato alla fedeltà dell'uomo, ma unicamente fondato sulla gratuita iniziativa di Dio. Il vincolo di amore che Dio aveva da sempre progettato finalmente si realizza perché in Gesù l'umanità ha pronunciato il suo «sì» più pieno.

Scoprire il volto di Cristo

«Vogliamo vedere Gesù»: oggi la missione di indicare agli uomini di buona volontà il volto di Cristo tocca alla comunità dei redenti, tocca a noi. Perché? Dio non è più il gran re che stabilisce un protocollo di diritti e doveri nei confronti del suo vassallo, l’uomo. A iniziare con il profeta Osea (VIII sec. a.C.) l’alleanza si fa più personale e “umana” modellandosi sulle relazioni intense, più umane.

Il profeta Geremia ha ormai davanti a sé le ore fatali di Gerusalemme, diroccata e conquistata dalle truppe babilonesi di Nabucodonosor (586 a.C.). Il suo sguardo si fissa per un istante sul passato, sull’alleanza del Sinai, quasi militare e politica. Ora il profeta guarda al futuro e alla svolta delle relazioni tra Dio e Israele. Sta, infatti, per essere inaugurata «un’alleanza nuova», sigillata dalla tipica formula della mutua fedeltà e appartenenza tra i due alleati: «Io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo». Questa novità porta con sé due annunci di infinita bellezza. Il primo è il più alto e sorprendente. Dio non scrive più le clausole dell’alleanza sulle tavole di pietra del Sinai ma sulle tavole di carne del cuore umano, cioè nella coscienza di ogni creatura fedele. Dio stesso entra nell’uomo irradiandolo con la sua grazia; sarà lui stesso a svelarsi al cuore dell’uomo e a sostenerlo perché non abbia a cadere nell’infedeltà. Il secondo risultato è la conseguenza del primo. Se Dio stesso agisce nell’interno di ogni persona, non sarà necessaria la struttura esterna impositiva delle norme, delle punizioni, dei richiami perché ognuno aderirà a Dio e alla sua volontà dall’interno del cuore per amore. L’adesione all’Alleanza sarà un’adesione amorosa che coinvolge intelletto, volontà, passione, impegno operoso.

Queste sono le meraviglie che il Signore Gesù ha compiuto con noi rendendoci capaci, dal di dentro, di realizzare il suo progetto. Scrivere sul cuore significa rendere l'uomo capace di compiere la volontà di Dio: allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo, allora ci sarà relazione. Con la morte e la risurrezione di Gesù Cristo ci sarà autentica relazione tra Dio e l’uomo.

Il messaggio di Geremia è semplicemente questo: la salvezza passa attraverso la morte: attraverso l'offerta di sé: attraverso il dono generoso della propria vita si ha la salvezza. Solo in quel modo Gesù realizza la vita; Geremia lo aveva intuito nella sua vita e ciascuno di noi può realizzarlo nella propria. Solo attraverso il dono generoso di se è possibile che il nostro lutto si cambi in gioia: solo attraverso questa strada il Signore ci consolerà e ci renderà felici

Entra in questo gioco di libertà colui che accetta di essere amato da un Dio che ha rivelato il meglio di se stesso nella Croce: la Croce è la sintesi dell’ora della gloria di cui ripetutamente Giovanni parla. Solo chi accetta di essere amato e di ricambiare l’amore, infatti, crede all’impossibile. Nonostante l’oggettività delle scienze, i bombardamenti dei mass-media, la civilizzazione dell’immagine, gli uomini e le donne rimangono essenzialmente e strutturalmente destinatari di una vita divina, delicata proposta amorosa, che non si può accettare se non liberamente. Ancora una volta l’incontro con Dio, la relazione con Dio avviene per strade che l’uomo in nessuno modo riesce a formulare, ad intuire: se non fosse Lui a rivelarle!

La meditazione della Passione – quella che Giovanni chiama l’ORA –  soprattutto a un certo stadio della maturità spirituale (almeno dopo i 50 anni!), è una delle meditazioni preferite, quella che maggiormente ci rivela le ricchezze del Cristo e il senso dell'esistenza. Giovanni contempla il Risorto nell'amore che si esprime sulla Croce, con tutto il realismo della Croce stessa, come segno di amore supremo del Padre nel Figlio per l'umanità. Lì Dio si rivela ciò che è, ciò che sa essere, ciò che sa dare a noi…pane spezzato…calice versato…

DOMENICA DELLE PALME [Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mc14,1-15, 47]

Verrà proclamato il racconto della Passione secondo Marco. L’evento della cattura, morte e risurrezione viene come anticipato nel gesto del Pane spezzato e del calice versato. Lo ripetiamo: il pane spezzato sta ad indicare una Vita condivisa fino all’ultimo, così come si condivideva il pasto che i due protagonisti condividevano come firma dell’alleanza appena stipulata. Il calice del Sangue versato sta ad indicare che questo dono avviene attraverso una morte violenta, conseguenza del potere malvagio che si è accanito su Gesù ma che Gesù non ha a sua volta rivolto a chi lo metteva in croce; in lui tutto quanto di malvagio (potere economico, politico, religioso) l’uomo può compiere è come se si spegnesse. E’ vero, continuerà a portar ei suoi frutti malefici, ma sappiamo che può essere supoerato. La promessa fatta a Noè di superare la violenza con l’alleanza (l’arco di guerra spezzato e l’arcobaleno che splende) trova il suo compimento definitivo proprio nella vita di Gesù, riassunta e significata nella Cena che noi celebriamo in Eucarestia, cioè in rendimento di grazia. Solitamente il patto di alleanza si concludeva con il pasto comune. Il mangiare insieme era il segno che si accettavano tutte le clausole dell’alleanza; rappresentava un po’ la firma che i due interessati stipulavano di comune accordo quel patto.

I TRE GIORNI DELLA PASQUA

Tutto quanto abbiamo fin qui ricordato noi lo celebreremo nei Tre Giorni della Pasqua di Morte e Risurrezione. Da subito le prime comunità hanno visto e celebrato La Cena del Pane Spezzato e del Calice versato come specifico della propria adesione a Gesù di Nazareth.

Concludiamo il nostro percorso quaresimale, riascoltando il documento più antico attestante il ritrovarsi delle primissime Comunità per spezzare il Pane e bere il Calice versato.

Paolo Corinti 11,

Questa comunità si crede spirituale, fedele a Cristo; Paolo la critica proprio nel momento centrale: quando celebra l’Alleanza nella Cena ma, di fatto, all’interno ci sono divisioni, continuano i germi contrari alla Novità di Cristo: Voi vi radunate per rimarcare la divisione. Ci si può radunare apposta per dividere! E, questo succedeva a Corinto: vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi... Paolo li attacca proprio lì, per come celebrano quella Cena della Nuova Alleanza!

E prosegue: … Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso… in memoria di me … Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». La cena, dove si mangia e si beve, è, attraverso la condivisione del cibo e della bevanda, l’occasione per condividere l’intenzionalità della vita. Questo è il valore della mensa. Si mangia e si beve insieme, per condividere insieme, attraverso il cibo e la bevanda, che sono necessari per vivere, la motivazione della vita! Noi partecipiamo alla cena del Signore nel senso che siamo in comunione con le intenzioni che hanno motivato dall’interno tutto il suo cammino, la sua missione in questo mondo, fino alla sua Pasqua, fino alla sua morte per amore. Questo condividere è il motivo per cui lui ha portato a compimento la sua missione fino a morire, risorgere e instaurare così l’alleanza nuova ed eterna, questa comunione con lui, il Signore, il Kiryos, attraversa i tempi fino al suo ritorno glorioso. finché egli venga.

Ogni Domenica celebriamo l’Alleanza in tre moment:

Proclamazione della Parola del Signore,

Memoriale dell’Alleanza ripetendo gli stessi gesti di Gesù,

Mangiando insieme come espressione della nostra volontà di fedeltà all’Alleanza.

Che tristezza confondere La Celebrazione della Nuova Alleanza con l’obbedienza ad un precetto, una pratica religiosa, una scadenza (matrimonio, funerale, prima comunione…)

Conclusione

Concludo con una intensissima meditazione di una Martire dei nostri giorni, anche su di lei si è scaraventata ancora una volta il potere malvagio dell’uomo. E’ un testo di Edith Stein,  Teresa Benedetta della Croce; Breslavia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, 9 agosto 1942). Di origine ebraica, si convertì al cattolicesimo dopo un periodo di ateismo che durava dall'adolescenza. E’ stata una monaca cristiana, filosofa e mistica tedesca. Venne arrestata nei Paesi Bassi dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove, insieme alla sorella Rosa, fu trucidata.

Dopo un lungo cammino verso la meta
– Chi lo può comprendere? –
per tutto il tempo e l’eternità sono tuo possesso:
tu vuoi chinarti sulla più piccola creatura:
mi porgi la mano e io non la voglio lasciare mai più.
Ciò che possedevo è ora per me futile parvenza;
ciò che amavo sta dietro di me in silenzio.
Ti do la mia volontà in possesso: prendi tutto,
te lo dono per sempre.
Tutta la mia vita è ora rivolta all’altare:
là c’è il sole che mi illumina, mi guida.
Mi viene dato in cibo pane e vino.
Là batte il cuore,
m’inonda col suo Amore,
che si espande intorno a me
e mi avvolge tutta nel suo fulgore.


[1] Umanissimo linguaggio di questi sapienti che esprimono, in questo modo comprensibile dai loro contemporanei, la propria fede in questo Dio “umano”, conoscitore del cuore umano; un Dio alleato dell’uomo, amico dell’uomo nonostante l’uomo fatichi tanto a vivere il proprio rapporto con Dio. Ma nessun peccato dell’uomo potrà mai fermare l’amore di Dio. Premesse registrate all’inizio della Bibbia che troveranno il loro compimento in Gesù di Nazareth.

[2] Questo è il Dio di cui l’uomo della Bibbia ha fatto da subito esperienza; un Dio che in nessun modo potrà mai essere confuso con altre divinità!