PREFAZIONE
Rischio, secondo un etimo antico, significa roccia tagliata a picco, scoglio; di qui esporsi, possibilità di rischio…
In questo Quaderno 3 troverai le riflessioni che i Giovanni hanno messo insieme indagando per un anno sul Vangelo di Giovanni. In particolare sono stati approfonditi gli incontri di Gesù con quattro personaggi, diversi e simili tra loro. Conosciamoli.
NICODEMO. Entra ed esce di scena “di notte”. Uomo religioso, non vuole correre rischi incontrando quel Rabbi: nel buio è, nel buio rimane. Quando però gli viene consegnato il cadavere di quel Crocifisso sporco di sangue, trova il coraggio di rischiare tutto. Ha fatto un lungo cammino!
UN UOMO NATO CIECO. Figura del catecumeno che rischia il rifiuto della sua gente e l’incomprensione dei genitori per dare retta alla parola di quell’Uomo che lui non conosce ma che gli sta cambiando la vita…fino a inginocchiarsi davanti a Lui.
LA MADDALENA. La donna che cerca un cadavere su cui piangere. Lei continua a cercarlo, in un sepolcro. Quando però si sente chiamata per nome…Simbolo della Chiesa che fatica a rischiare sul Risorto Vivente…fino a quando…
TOMMASO. Il nostro Gemello. Lui Gemello del dubbio totale. Eppure Giovanni, alla fine del suo Vangelo, non mette Giovanni il discepolo prediletto (il carisma), non mette Pietro (l’autorità). Mette, Tommaso, il dubbio. Un dubbio portatore di una benedizione che ancora oggi rimane come il paradosso del dubbio di fede…beati coloro non avendo creduto pure si sono fidati…Già la prima Chiesa ha faticato ad accogliere quel paradosso, tanto che, anni anno dopo, ha aggiunto il capitolo 21.
Ma, con riconoscenza, diamo voce, voce fresca, a chi ha redatto queste note.
A tutti buona lettura.
Don Nando
L’UOMO NATO CIECO (Gv 9, 1-7)
Passando, vide1 un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe - che significa Inviato». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva2.
“Va' a lavarti nella piscina di Sìloe’”. Cosa dovrei fare? Non lo so.
Sono davanti a quest'uomo, Gesù, che non conosco. Sento la sua voce che mi cerca. Ma perché dovrei andare e fare ciò che mi dice? Non posso negare di sentirmi smosso dalle sue parole, incuriosito dal suo invito…ma vorrei qualche spiegazione, qualche garanzia.
Quest’uomo ora è qui davanti a me e mi chiama. Ma perché ha chiamato proprio me? Io che sono solo un cieco, solo un uomo. Io che con questo limite posso solo stare in ascolto. Io fragile, da sempre immerso e destinato all’oscurità.
Gesù mi sta dicendo qualcosa di diverso da ciò che mi sono sentito dire tutta la vita: mi hanno ripetuto così tante volte che la mia cecità
era conseguenza del peccato che pian piano ho iniziato a crederci anche io ed ho accettato la mia reclusione dalla società senza mai metterla in dubbio, ho iniziato a vedere il mio limite come nient’altro che una maledizione. Quest’uomo invece sembra pensare qualcosa di diverso, dice che sono cieco perché in me si possano manifestare le opere di Dio, come se il mio limite fosse proprio ciò che può rendere speciale e bella la mia vita; mi parla di un Dio che non mi ha tolto la vista per punirmi del mio peccato, ma che anzi mi ama indipendentemente da esso.
Cosa dovrei fare? Non lo so. Forse proprio perché non so, dovrei andare? In fondo non so chi sia questo Gesù ma, come quando ho sete cerco acqua, ora che desidero conoscerlo dovrei mettermi in movimento verso di Lui. Lui che mi ha cercato per primo, che per primo ha mostrato il suo interesse e amore per me.
E’ difficile fidarmi di lui senza sapere cosa mi aspetta. Forse però non mi servono spiegazioni, per provare a mettermi in movimento.
(Gv 9, 8-12)
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va' a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».
Ci vedo. Queste persone intorno a me non ci credono, si convincono di confondermi con qualcun altro. Ma sono io. Sono io che prima ero cieco ed ora vedo. Purtroppo non sono in grado di dare le spiegazioni che cercano. Non so come sia successo, non so dove sia ora colui che mi ha salvato dalle tenebre.
So solo che prima vivevo pensando che il mio limite fosse una condanna ed ora ho capito che è proprio grazie a tale limite che l’amore di quest’uomo si è potuto manifestare in me. Mi sono sempre visto solo come un mendicante, ma Gesù ha visto in me e nella mia vita una luce che io non mi sono mai accorto di avere.
Ci sono ancora tante cose che non so. Ma quel che so è che in me c’è stato un grande cambiamento. Ho ricevuto un dono meraviglioso: ora finalmente posso comprendere grazie a quell’uomo chiamato Gesù. Sono convinto che queste persone intorno a me non vedono i colori brillanti come li vedo io, che non li apprezzano come li apprezzo io, perché non conoscono il limite che invece mi ha accompagnato per tutta la vita, non sanno che tutti siamo limitati. Andare a lavare gli occhi nella piscina mi ha permesso di comprendere il mio limite. Forse se mi metto in cammino dietro a lui posso scoprire in quanti altri nuovi modi può essere bella la mia vita.
***
(Gv 9, 13-17)
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano:
«Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco:
«Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Le persone intorno a me sono convinte di sapere, cercano scuse per convincersi che quell’uomo di Nazareth sia solo un peccatore, che sia lontano da Dio. Non vogliono vedere la verità che sta sotto ai loro occhi, che prima non vedevo ed ora vedo. Negano l’evidenza. Si sono circondati da una massa di tenebre tale da arrivare a confondere la luce con il buio. I loro occhi sono diventati incapaci di vedere, sono più ciechi di quanto non lo fossi io prima. Pensano di conoscere la Legge e non si accorgono che quello che dicono e fanno è contrario al messaggio di amore di Dio. Continuano a pormi domande per mettere in discussione ciò che mi è successo. Vogliono credere solo alle loro leggi, ma non hanno capito che non ci sono risposte sicure, razionali, ma solo azioni e incontri sul cammino.
Sento nel mio cuore che quell’uomo ha una parola buona anche per me, che mi ama nonostante i miei limiti. Non è stato il fango a guarirmi, ma Gesù stesso! Lui mi ha chiesto solo di obbedirgli3, di seguirlo..e così mi ha salvato! Io non posso ancora dire di credere in lui, di fidarmi, ma le sue parole iniziano ad avere senso, quello che fa e quello che dice mi catturano nel profondo. Sto percorrendo i primi passi di un nuovo percorso.
Quest’uomo è un profeta. È l’uomo che sta dalla parte di Dio in favore dell’uomo e dalla parte dell’uomo in favore di Dio.
***
(Gv 9, 18-23)
Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!».
Capisco che mia madre e mio padre hanno paura, lo vedo sui loro volti e lo sento nella loro voce. Il cambiamento avvenuto in me mi pone al di fuori della società. Posso pretendere forse che cerchino di proteggermi? “Ha l’età per prendere le sue decisioni”, così hanno risposto alle domande che gli hanno posto. Come posso biasimarli? Eccoli ribadire di nuovo quello che sanno con certezza: “Nostro figlio era cieco ed ora ci vede, non sappiamo perché”. Sviano le domande, rispondono in modo evasivo. Non erano presenti al mio incontro con quell’uomo, quel profeta, Gesù, non capiscono.
Dovrei cercare di far comprendere loro questo cambiamento che sta avvenendo in me, ma rifiutano di cambiare il loro modo di pensare. Non vogliono farsi domande, non vogliono farmi domande, non vogliono mettersi in discussione e sfidare la società in cui viviamo.
Mia madre e mio padre sanno che sono diverso da prima e ora siamo su due percorsi differenti. Non mi riconoscono più? Non si spiegano il mio cambiamento, il mio gesto di seguire quell’uomo Gesù. E’ difficile da spiegare ed ogni spiegazione mi allontana sempre di più da loro, che invece hanno sempre seguito le leggi senza metterle in discussione. Se gli chiedessi di seguire quell’Uomo, di alzarsi e fidarsi, seguirebbero anche loro questo cammino? Capisco che mia madre e mio padre hanno paura. A volte anche io ho paura, ma non posso negare ciò che è avvenuto.
(Gv 9, 24-34)
Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Come possono questi saggi, questi uomini di legge non capire questo concetto così semplice? Prima ero cieco e ora ci vedo. Ecco qui tutto quello che è successo. Perché volete continuare a farmelo ripetere? Quale altra spiegazione cercate del fatto che quest’uomo, Gesù è un profeta? Non importa di dove sia o dove vada, solo un Messia può colpire così nel profondo da portare in me un cambiamento così grande. Quale altra spiegazione posso dare?
I farisei dicono di sapere, di conoscere la legge, di vedere. Hanno sempre visto per tutta la vita eppure non comprendono. Non si accorgono che davanti a loro hanno solo le tenebre. Rifiutano di mettersi in discussione, di alzarsi e compiere un cammino di fiducia. Più si ostinano a seguire le loro leggi, più smetteranno di vedere! Continuare a imporsi sugli altri, senza mettersi in discussione può solo essere contrario al bene di tutti! Stanno cercando in tutti i modi di negare. Io posso solo ripetere quello che è avvenuto. Non capite? Perché non capite? Non dite di sapere, ma ascoltate ciò che vi sto mostrando! Ognuno di loro vuole intervenire e dare il suo giudizio: eccoli che si sovrastano l’uno con l’altro. Non capiscono che pian piano tutto acquista un senso. Ho detto loro: “Andate e incontratelo anche voi!” A questo si scandalizzano e si rifiutano.
Ora vogliono escludermi, non rientro più nelle loro certezze, li sconvolgo. Quanti modi hanno avuto di mettermi fuori e scacciarmi durante la mia vita? Quando ero cieco però riconoscevano il mio limite, perché potevano spiegarlo. Ora invece non possono più spiegarmi, non sanno chi sono, vado contro le loro regole, sono scomodo, non classificabile. E’ cosi difficile accettare senza avere certezze? E’ più confortevole sentirsi sicuri, crogiolandosi nelle proprie convinzioni e non mettersi mai in discussione. Forse i farisei hanno più da perdere e non vogliono lasciare indietro qualcosa per andare ad incontrare Gesù.
Ho cercato di spiegare che incontrare quell’uomo è l’unico modo per capire, per scacciare davvero la paura. Loro vogliono scacciarla con la razionalità, con le domande e con le regole che li tengono al sicuro. Capiranno forse un giorno che le loro leggi sociali, la loro religione sociale non possono spiegare tutto. Non ci sono risposte magiche nella difficoltà, non ci sono risposte facili, c’è solo un affidarsi ad una proposta.
***
(Gv 9, 35-39)
Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo4, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi»
Rincontro di nuovo Gesù sul mio cammino. L’incontro con lui ogni volta mi stupisce. Mi parla di un Dio che io non conosco, anzi ha messo in discussione tutte le mie certezze. Prima per me Dio era legge, era un lontananza. Adesso invece eccolo, in relazione con me, colui che mi parla, colui che sta qui davanti a me è Dio stesso incarnato in un uomo.
Non è tuttavia solo un portatore di Parola. Ora ci vedo. Vedo i suoi gesti e le sue azioni. Ho scelto di alzarmi e seguirlo, di accogliere questa chiamata, di provare un'esperienza nuova che prima non conoscevo. Probabilmente non ho capito fino in fondo questa proposta, magari capirò alla fine o non capirò mai, ma ora sento di vivere una vita più piena, più bella dopo questo incontro.
Ho visto la sua luce, ha acceso la mia fede e ora non mi resta che affidarmi a lui. Capisco che è il momento di compiere un’ultima scelta. Ho ascoltato, sono andato a lavarmi per scoprire la bellezza del mio limite. Ho avuto i miei dubbi lungo la strada, altri mi hanno interrogato ed escluso.
“Tu credi nel Figlio dell'uomo?” ora mi interroga anche Gesù. È il momento di scegliere se continuare a camminare. Non si tratta più di compiere un gesto semplice per quanto strano, come andare a lavarsi gli occhi, ma devo affidarmi a quell’uomo di cui spesso non so, non capisco, non conosco. Che spiegazione posso dare della mia fede? Non posso darne altre che il racconto di questo incontro. Prima ero cieco ed ora ci vedo. Vedo senza vedere, non con gli occhi ma con il cuore, credo e mi affido.
NICODEMO
(Gv 3, 1-21)
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, un capo dei Giudei.
Come al solito fatico a prendere sonno. C’è qualcosa che mi tormenta. Credevo di trovare sollievo e risposte nelle Scritture, ma le certezze che avevo su di esse non sono più così salde.
Tutto è iniziato qualche tempo fa, quando un mio collega scriba – anche lui membro del Sinedrio5– mi ha riferito che sarebbe arrivato in città un tale Gesù da Nazareth, un giovane discepolo di Giovanni il Battista. I seguaci che viaggiano con lui lo chiamano Rabbì, Maestro. Avevo già sentito parlare di lui, ma dopo quello che mi è stato riferito sui gesti che ha compiuto, non riesco a togliermi dalla testa che in lui ci sia qualcosa di speciale. Non credo che un uomo possa fare quello che ha fatto lui. So che sta arrivando in città, e saperlo così vicino non mi fa dormire. Devo incontrarlo, devo capire... voglio parlare con lui e conoscerlo.
So che gli altri farisei non capirebbero e, se ne parlassi con qualcuno, rischierei di mettere a repentaglio la mia onorabilità e rispettabilità. Chi più di noi, membri del Sinedrio, conosce le Scritture? Come può un uomo qualunque, con origini così umili, dire e fare queste cose? Nonostante tutto non riesco a rimanere indifferente di fronte a questo uomo...
Se vado adesso, con il buio, nessuno mi riconoscerà. Il buio rappresenta anche come mi sento adesso, permeato da dubbi e tante, troppe domande. Devo andare.
Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».6
L’ho incontrato!
Mi sono ritrovato a rivolgermi a lui con il rispetto che i suoi seguaci dimostrano, chiamandolo “Maestro”. Non ho voluto accusarlo precipitosamente di chissà quale colpa, o interpellarlo come probabilmente avrebbero fatto i miei colleghi farisei, che ritengono che la Legge sia intoccabile, quasi come se fosse loro privilegio esclusivo. Devo confessare che talvolta sembra che approfittino della loro posizione per utilizzare la Legge a proprio vantaggio.
Io invece voglio capire quello che ha da dire questo Gesù, pertanto gli ho posto alcune domande sui gesti che ha compiuto. Fatico a comprendere, ma i suoi discorsi, la solennità delle sue risposte mi hanno lasciato senza parole.... Mi sembra di aver assistito a qualcosa di straordinario, che va oltre l’uomo, oltre noi, oltre Gesù. Nessuno mi ha mai parlato come lui, sembra acqua di sorgente. Continuo a ripensare a quello che mi ha detto, cerco di far risuonare le sue parole in me, anche se, a dire il vero, sento di non aver capito fino in fondo.
Ha parlato di rinascere “dall’alto”. Ma come può rinascere un uomo che è già nato? Mi sembra così irrazionale...E come si può sostenere che chi crede in Dio non viene condannato? Le Scritture parlano chiaro e al Sinedrio le applichiamo per garantire la giustizia. Dopo quello che Gesù mi ha detto stanotte, mi sembra di non sapere più niente. Lui non è certo uno scriba né un fariseo, ma sembra aver compreso qualcosa che io non ho mai colto. Da dove gli arriva questa conoscenza?
I suoi discorsi mi affascinano, mi sembra di percepire il Soffio di cui parla accarezzarmi il viso. Lo avverto sfiorarmi, incerto se provenga dal deserto, dal lago, o da un luogo misterioso, e quale destino lo attenda alla fine...Devo ricominciare da zero, le sue parole hanno stravolto tutto quello che pensavo di sapere. Forse è proprio questo che intendeva quando parlava di rinascita: ripartire da capo. Ma come?
Le sue parole continuano a risuonare nella mia testa: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Dunque le Scritture non condannano? Cosa vogliono dire, allora? “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie”. Forse non siamo stati in grado di riconoscere il vero messaggio di Dio? Solo ora inizio a vedere.... E se non ci fosse condanna nella Parola di Dio? Se il suo fosse davvero un invito a fidarsi, per non essere condannati? Questo cambierebbe tutto! Inizio a capire quello che voleva dire Gesù: accogliere questo messaggio significherebbe rinascere, cambiare completamente prospettiva, rivoluzionare il modo di concepire la presenza di Dio nel mondo. Nel cuore di queste tenebre, in quella che è la mia notte più profonda, le sue parole risplendono.
“Quello che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è spirito”, queste parole ora trovano un senso. Per tutti questi anni ho visto solo ciò che era scritto, ma la nostra interpretazione della Legge è messa alle strette di fronte alle parole e agli atti di Gesù. Quello che noi, studiosi della Legge, abbiamo fatto finora è trasformare tutto in una religione "sociale", composta da riti e liturgie da seguire per evitare la punizione divina, riducendo di fatto il significato stesso delle leggi. Non sta affermando che la legge che abbiamo studiato fino ad ora è errata, sta piuttosto suggerendo che dobbiamo imparare a leggerla e a interpretare la realtà storica con occhi diversi. Dobbiamo abbandonare la pretesa di capire tutto e affidarci a Dio, che ha inviato suo figlio sulla terra come supremo esempio di vita autentica e di interpretazione delle leggi.
L’incontro con Lui conferisce ora un nuovo senso a tutto. Lo Spirito è come il vento, non sai che cosa è, ma lo senti quando c’è, si rivela nei frutti. E chiunque è animato dallo Spirito si rivela per ciò che è.
***
(Gv 7, 45-51)
Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno fra i capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?»
Sapevo che i farisei non avrebbero capito. Lo sapevo fin da quando mi hanno riferito che Gesù aveva deciso di scendere di nascosto in Giudea in occasione della Festa delle Capanne7 e tra me e me ho pensato che stesse rischiando molto, vista la storica ostilità tra giudei e galilei. Soprattutto i sommi sacerdoti ed i farisei giudei avrebbero fatto di tutto per farlo arrestare piuttosto che vederlo predicare tra la gente. Se solo fossero in grado di ascoltare davvero quello che Lui ha da dire potrebbero rimanere affascinati dal Dio di cui parla Gesù ma
loro pensano di conoscere la Scrittura, come lo pensavo anche io d’altronde, ed è difficile lasciar andare queste certezze sedimentate da tutta una vita.
Non si rendono conto che lui conosce la Torah e il Padre meglio di tutti noi. La loro “religione civile”, che gli offre una serie di giustificazioni e alternative, gli fa sfuggire l’interpretazione più autentica e pura della Legge. Un’interpretazione che li renderebbe sicuramente più pieni di Spirito, ma li farebbe apparire più deboli agli occhi della società. Io al contrario non posso più tacere! Non posso più rimanere nell’ombra! Dopo quella notte, per me è cambiato tutto. Pertanto l’ho difeso, senza più alcun timore. Mi sono fatto vedere alla luce del sole. L’ho difeso attraverso la stessa Legge con cui i farisei volevano condannarlo.
Ripenso alle parole ascoltate quella prima notte in cui lo avevo incontrato: ho forse intrapreso il mio cammino di “rinascita dall'Alto”, di rinascita nello Spirito? Gesù mi ha detto di rileggere con occhi diversi quello che succede nella mia vita, con occhi di chi si fida, con occhi di chi ha ascoltato le parole del Figlio mandato da Dio per insegnarci. È una grande sfida, ma una sfida che mi porta a vivere una vita piena.
***
(Gv 19, 38-42)
Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, deposero Gesù.
Gesù è morto. Nei giorni scorsi ho temuto sempre di più per la sua vita: i farisei e i sommi sacerdoti ormai volevano eliminarlo ad ogni costo. Era diventato più che una semplice minaccia per loro ed il loro potere. E sono riusciti nel loro intento, consegnandolo a Pilato per farlo condannare ad una fine dolorosa, crocifisso come un traditore. Coerente fino in fondo con il suo messaggio, ha affrontato la morte. Lo ha fatto per noi.
Insieme a Giuseppe d’Arimatea ho preso il suo corpo e l’ho preparato per la sepoltura. Lo so, questo ci rende impuri per la legge dei Giudei, ma non mi importa più. Non è quella la legge di Dio, d’ora in poi celebreremo una nuova Pasqua. Ho portato una quantità esagerata di unguenti, degna di un Re, perché oggi abbiamo incoronato un nuovo Re. Lui è il Messia, il Cristo! È veramente il Figlio che Dio ha mandato tra gli uomini per testimoniarci il Suo Regno!
Ci ho messo una vita a comprendere, ma le parole che mi ha detto quella prima notte oggi prendono nuovo senso: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”, “così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Questo è il grande dono di Dio per l’uomo: suo figlio; questa è la vera prova del suo Amore. “Dovete nascere dall'alto” dalla croce su cui è morto, io rinasco a nuova vita.
MARIA MADDALENA
(Gv 20, 1-18)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa.
Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto". Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria!". Ella si voltò e gli disse in ebraico: "Rabbunì!"8- che significa: "Maestro!". Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: "Ho visto il Signore!" e ciò che le aveva detto.
Quando sono andata al sepolcro era ancora buio. Era il primo giorno della settimana. Sono arrivata e non ci potevo credere, la pietra era stata tolta. Non capivo come fosse possibile, ero davvero incredula. Il mio cuore impaurito e scosso improvvisamente ha iniziato a battere più forte: non vedevo più il Signore. Eppure il suo corpo era lì: come poteva non essere più nello stesso posto dove era stato messo? Stavo cercando esattamente dove doveva essere!
Sicuramente qualcuno lo ha spostato, ho pensato. Quindi sono corsa da Simon Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava, per dirgli ciò che avevo visto o meglio ciò che non avevo visto. Avevano portato via il Signore dal sepolcro e io non sapevo dove l’avessero posto! Anche loro due quindi sono corsi al sepolcro, e hanno trovato conferma delle mie parole, ma a differenza mia hanno visto qualcosa che io non ho trovato. Sono tornati quindi a casa. Io però non potevo tornare a casa senza sapere, senza certezze, dovevo continuare a cercare!
Sono tornata allora al sepolcro, sono rimasta lì fuori, non sapevo cosa fare se non piangere. Ho provato un dolore troppo profondo. Piangevo perché qualcuno aveva portato via il mio Signore, e io non sapevo dove altro cercarlo. Continuava ad esserci buio, e io non potevo più vedere il mio Signore. Stavo sbagliando qualcosa? Dove dovevo cercarlo? Mi sentivo persa, senza una guida sicura, non capivo. Me lo avevano tolto, e io non sapevo più dove cercarlo!
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All’improvviso mi sono affacciata di nuovo dentro al sepolcro e ho trovato altre due figure che sedevano dove prima giaceva il corpo di Gesù. Mi hanno chiesto di nuovo perché piangessi. “Hanno portato via il mio Signore”, ho risposto. “E non so dove l'abbiano posto”, ho ripetuto ancora una volta.
In quel momento mi sono girata e ho visto un uomo. Anche lui mi ha chiesto perché stessi piangendo, e chi stessi cercando. Probabilmente si trattava del custode del giardino. Forse lui sapeva chi aveva portato via il mio Signore! Magari lo aveva portato via lui! Gli ho chiesto se lo avesse posto lui da qualche parte. Sarei andata a prenderlo io; avevo solo bisogno che mi dicesse dove fosse stato spostato. Avevo solo tanto bisogno di vederlo!
A quel punto, ho sentito chiamare il mio nome, “Maria!”. Mi sono voltata indietro, quella voce! Era proprio lui, quell’uomo, che mi chiamava con il mio nome! Che strano ho pensato, quello è il modo in cui mi chiamava il mio Signore…A quel punto ho capito, non potevo crederci… Quell’uomo era davvero il mio Signore, ora lo avevo davanti ai miei occhi! E’ stato in quel momento che l’ho riconosciuto, il mio Rabbunì. Il mio Rabbunì mi aveva chiamato per nome, e io mi sono sentita chiamata proprio in quel momento, come mi ero sentita chiamata tante volte prima da lui, nella nostra relazione. E’ proprio nel momento in cui mi sono voltata indietro, che ho ripensato a tutti i nostri momenti insieme, che l’ho riconosciuto.
Come avevo fatto a non rendermi conto che fosse lui? Era proprio lì, davanti a me. Quando mi ha chiamato per nome, i miei occhi sono tornati a vedere. Io lo cercavo, ma non lo trovavo. Piangevo perché non lo vedevo. Lo avevo davanti, ma non lo riconoscevo. Era diverso da come lo cercavo, e quindi non pensavo potesse essere lui. Era diverso, lui era morto, e quindi non poteva essere vivo. Cercavo Gesù tra i morti, perché non riuscivo a fidarmi di Lui, ma poi Lui mi ha cercata, mi ha chiamata per nome, e allora ho creduto.
In quel momento mi ha detto di non trattenerlo, ma di andare a dire ai fratelli che Lui ora sarebbe salito al Padre. Così dunque ho fatto, sono andata ad annunciare che avevo visto il Signore. Lo cercavo e non lo trovavo, poi lui ha trovato me e io l’ho riconosciuto.
TOMMASO
(Gv 20, 19-25)
La sera9 di quel giorno, il primo della settimana10, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo11, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo".
Sono confuso. Confuso e spaventato. Qua attorno a me Pietro, Giovanni, Filippo e gli altri sono ciascuno immersi nei propri pensieri. È strano, in questo posto eravamo soliti trovarci con il Maestro, ascoltarlo, e avere continuamente fame di quella sua parola ricca di novità. Ora che non c’è più tutto sembra più buio e il senso delle cose viene meno. Quantomeno a me.
Da pochi giorni a questa parte sembra che sia rimasto l’unico a pensare che Gesù non sia più tra noi. Ne sono certo, io l’ho visto morire. Tutti noi l’abbiamo visto morire. Gli altri devono essere così accecati dal dolore da non poter ammettere la realtà dei fatti. Sono riusciti a convincersi che sia ancora vivo, dicono che domenica scorsa mentre io non c’ero Lui era qui, che abbia parlato con loro… Immaginazione, ecco cosa penso! Immaginazione causata dal troppo dolore. Probabilmente devono aver rielaborato così il racconto di Maria, che ancora ansimante è arrivata qua correndo dal sepolcro dicendoci come Gesù fosse risorto, come il sepolcro fosse vuoto… Quante fantasie: la realtà dei fatti è che siamo rimasti soli, la nostra guida non c’è più e noi ci sentiamo smarriti.
Come può essere fisicamente possibile che una persona morta, cammini in mezzo a noi? So che non può essere, l’esperienza ci dice che è così… personalmente non mi accontenterei di vederlo come hanno detto gli altri, per confutare ogni dubbio dovrei anche poter toccare il suo corpo. Solo allora potrei credere che sia effettivamente ancora qui con noi.
Tutto questo non ha senso, sono riflessioni illogiche. Eppure gli altri sono irremovibili. Se fossi stato assieme a loro quella sera di otto giorni fa, li avrei fatti ragionare sull’impossibilità della cosa e che bisogna accettare una triste verità piuttosto che vivere in una lieta bugia. Invece io non c’ero. Ero spaventato, sconvolto, deluso. Mi ricordo bene che fuori era il crepuscolo, la luce del giorno stava pian piano lasciando il posto alle tenebre della notte e l’atmosfera intorno a me e nelle strade mi sembrava sempre più sinistra e minacciosa. Erano trascorsi pochi giorni da quando avevano ucciso il Maestro e da allora ho iniziato ad avere sempre paura. Tutti sanno chi sono. I giudei mi hanno visto passare tempo in sua compagnia e ora temo per la mia vita. Non sono più sicuro neanche del perché delle mie azioni. Dubito di tutto quello in cui pensavo di credere.
Quando Lui era con noi, la sua presenza ci rassicurava, il Suo messaggio era sinonimo di freschezza e cambiamento, noi speravamo che le cose sarebbero cambiate. Invece nemmeno Lui è riuscito ad evitare una condanna e una morte indegna… proprio Lui, il nostro Maestro, che chiamava Padre il nostro Dio.
Mi sento in pericolo, vulnerabile, perduto…
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(Gv 20, 26-31)
Otto giorni dopo12 i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano, e mettila nel mio fianco; e non essere più incredulo ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».13 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».14
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Mi sono interrogato più volte su chi sono, cosa sto facendo, dove sto andando. Soprattutto negli ultimi giorni, soprattutto dopo la grave perdita che ha colpito tutti noi. Il disagio interiore che provo è tale da avermi fatto pensare più volte al fatto di staccarmi definitivamente da questo gruppo. In passato abbiamo camminato molto assieme, abbiamo fatto un percorso che ci ha portati a crescere umanamente, siamo diventati amici affiatati e tutto ciò è stato straordinario… ma dove ci ha condotto? Non è una scelta facile, mettere in discussione quanto fatto negli ultimi tre anni assieme, mi fa star male, ma da un lato mi interrogo se chiudere questa relazione e continuare su strade diverse.
Nonostante tutto, oggi sono ancora qui con loro. Non so dire con certezza il perché. Forse il riflettere sul messaggio del nostro Maestro, forse la sensazione di mancanza...so solo che qualcosa si è mosso in me, un movimento irrazionale, ma questa volta ho sentito il bisogno di cercare, di non rimanere nascosto e isolato.
Ed ecco, che mentre sono assorto in tutti i miei pensieri, lo percepisco. Percepisco la presenza del Maestro in mezzo a noi. Nel momento più buio della mia vita, sento che Lui non se ne è andato, è ancora qui con noi. Spalanco gli occhi, non è possibile, non è reale. Il suo messaggio di pace riecheggia nella stanza, è come un caldo abbraccio che scalda il cuore. Resto immobile, senza parole. Non ho bisogno di vedere con occhi, non ho bisogno di toccare con mano, Lui è qui!
Che stolto che sono: attendevo ostinatamente un segno tangibile della sua presenza, quando noi riuniti siamo la prova vivente che Lui è con noi. Gli altri avevano provato a spiegarmelo, ma io non capivo. Forse avevo bisogno di tornare, riunirmi di nuovo con loro, per capire che questo è il vero miracolo.
Ogni volta che ci troveremo assieme per ricordarlo, Lui sarà lì con noi. Ogni volta che qualcuno di noi spezzerà il pane, Lui sarà lì con noi. Ogni volta che qualcuno di noi diffonderà la sua parola, Lui sarà lì con noi. Mi viene da sorridere a pensare che cercassi di spiegarmi l’impossibile attraverso logiche umane, volendo disperatamente prove materiali da poter cogliere con uno dei cinque sensi. Lui vive in me, Lui vive in noi. Solo adesso riesco ad accogliere con fiducia incondizionata il suo messaggio, che sento vivo nel profondo del mio cuore: Lui ha vinto la morte, ha attraversato lui stesso la paura, ma si è fidato del Padre e ci invita a fare lo stesso! Le mie paure non mi bloccano più come prima, un turbinio di emozioni mi smuove da dentro.
Questa nuova fiducia mi dona una speranza che non pensavo di poter vivere, mi fa sentire ancora più vicino al Maestro, che solo ora riconosco davvero come un uomo come me, che ha vissuto tutte le emozioni e le paure che sento anche io, e che nella consapevolezza delle proprie fragilità, ha una proposta viva e forte per me, un invito a cambiare atteggiamento. Non vorrei sembrare presuntuoso nel pensarmi così simile a Lui, con queste emozioni che vivo, che riconosco essere state anche le sue… ma è un sentirmi vicino a Lui che davvero mi scalda il cuore e mi fa dire con sincerità che cercherò di fare del mio meglio per diffondere il Suo messaggio di amore e fratellanza in giro per il mondo, finché avrò spirito in corpo.
Mi auguro che chi ascolterà la Sua Parola attraverso di me potrà riconoscere la stessa proposta di vita piena di senso che solo ora, pur consapevole delle mie fragilità, riesco ad accogliere. So che non è un invito semplice da accettare. Comporta scelte, fatiche e la necessità di porsi in una diversa modalità rispetto a quelle della logica e della concretezza con cui siamo abituati a muoverci. L’ho vissuto io per primo su di me: solo se avremo il coraggio di fidarci, riconosceremo che è una proposta di vita bella, vita piena, più forte della morte, come questo uomo ci ha dimostrato con la sua stessa esperienza vissuta.
CONCLUSIONI
I quattro personaggi inclusi in questo quaderno sono molto differenti tra loro, rappresentano momenti diversi del percorso di fede e si trovano in situazioni diverse della loro vita quando si sentono “chiamati” da Gesù. Sono però personaggi simili perché capiscono l’importanza dell’ascolto, dello stare in cammino, dell’essere aperti ad una proposta nuova, anche se l’incontro e la relazione con quell’Uomo li porterà a perdere le proprie certezze.
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L’uomo nato cieco è uno dei personaggi con cui è stato più facile per noi immedesimarci. Il cieco rappresenta in modo semplice e lampante il cammino compiuto da tutti i credenti che partendo dal Battesimo si avvicinano ad un percorso di fede che li porta all’incontro con Gesù e il Padre. Il cieco rappresenta l’uomo con il suo limite, qualsiasi esso sia, che si trova per la strada a chiedere l’elemosina. Tutti noi siamo limitati e siamo in cammino cercando qualcosa che ci manca. Gesù passa nella nostra vita e “passando in mezzo” ci permette di vivere un’esperienza di incontro umano con lui. Gesù ci conosce e ci vede in profondità e non ci permette di nasconderci dietro il nostro limite, ma ci invita ad andarci a lavare, ossia a riconoscere che il limite fa parte di noi.
Da questo incontro incomincia il cammino di fede di tutti i discepoli che sono invitati in ogni situazione e in ogni epoca a mettersi in ascolto ed andare dietro a Lui. L’uomo nato cieco rappresenta il battezzato che va a lavarsi, ma non capisce, non riconosce subito il Messia che ha davanti. L’abilità di fidarsi senza credere arriverà solo dopo un percorso lungo.
Il cieco inoltre non chiede di essere guarito, ma non rifiuta l’incontro con Gesù. Quanti di noi possono riconoscersi in una scelta iniziale di fede cristiana che è stata proposta dalla famiglia, dai genitori, dalla nascita, una scelta inconsapevole? Questa prima scelta battesimale deve essere poi confermata nuovamente nel cammino, anche e soprattutto quando diventa una scelta scomoda, contro corrente, fuori dalla società. Nella nostra relazione di fede, come il cieco, dobbiamo continuare a rimanere in ascolto per poter arrivare un giorno ad affidarci, anche senza credere. La bellezza di questo incontro, è che sarà sempre Gesù a cercarci ed amarci per primo.
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Per comprendere appieno il percorso di Nicodemo è fondamentale sottolineare il ruolo che egli occupava nella società del tempo: Nicodemo è un fariseo, molto probabilmente membro del Sinedrio, esperto di Sacre Scritture ed ha il compito di far rispettare i dettami che queste contengono. Nel suo primo dialogo con Gesù infatti, nonostante il suo modo di porsi faccia trasparire un’apertura, un’ammirazione nei suoi confronti, Nicodemo si rivolge a lui con la certezza di colui che già sa, colui che ha già capito. Durante il colloquio emerge la razionalità alla base delle domande di Nicodemo, il suo punto di vista sulla vita e sul Regno di Dio che si basa su ciò che ha la certezza di vedere. Le risposte di Gesù invece fanno intendere subito che il punto di vista deve essere un altro. Di fronte a queste risposte Nicodemo non dice nulla, non può replicare, sparisce di scena.
Gesù invita l’uomo a cambiare la prospettiva di lettura degli eventi della sua vita, a rigenerarsi guidato dallo Spirito, dono gratuito di Dio ai suoi figli, che diventano così consapevoli della presenza di Dio nella storia. Nella vita dell’uomo di oggi quanti sono gli eventi che egli vive e che acquisirebbero un senso rinnovato se letti animati dallo Spirito?
Nel secondo passaggio nel quale compare, Nicodemo dimostra di essere già in cammino nella direzione indicata da Gesù: si è messo in ascolto, ha vissuto l’esperienza che Gesù ha suggerito e ora legge in modo diverso le sue “leggi sociali”. La stessa Legge che vuole essere usata per condannare Gesù, Nicodemo la usa per difenderlo.
Il cammino di conversione di Nicodemo trova però il suo compimento nel terzo momento. E’ proprio nel vedere come Gesù è morto che Nicodemo capisce quello che aveva ascoltato la prima notte: ai piedi della Croce capisce cosa vuol dire “rinascere con lo Spirito, rinascere dall’alto”. Nicodemo rinasce e con lui la sua fede. Lo fa quando per la sua legge è diventato un peccatore, avendo toccato il corpo di un empio morto in croce, avendolo sepolto in un sepolcro nuovo. Ma a Nicodemo ormai non importa, ormai è “uno di loro”, un discepolo: portando gli unguenti ha attribuito a Gesù il titolo di Messia. Il cambiamento radicale è avvenuto: è partito dal non credere, anzi dal “noi sappiamo”, ha conosciuto quell’Uomo ed è arrivato a compiere un atto di fede riconoscendo in Gesù il dono grande di Dio all’umanità.
Questo percorso di ascesi di Nicodemo inizia e termina di notte, ma ha uno sviluppo centrale di giorno. E’ il classico schema “a sandwich”, cioè due eventi uguali o simili, all’inizio e alla fine di un racconto, che ne racchiudono un altro a sottolinearne l’importanza. L’evento centrale del racconto di Nicodemo, quello ambientato di giorno, è il suo uso della Parola per difendere Gesù. Quelle che fino all’incontro nella notte erano per lui certezze incontrovertibili sono state ribaltate di prospettiva nella relazione con Gesù. Ed è proprio in quel momento che il buio scompare.
Ma chi rappresenta Nicodemo per l’uomo del 2024? Nicodemo rappresenta il cristiano di oggi che cerca un’esperienza religiosa che gli scaldi il cuore. Noi credenti, per primi, frequentiamo le assemblee domenicali, conosciamo (o pensiamo di conoscere) la Parola, siamo immersi quotidianamente in ambienti (scuola, lavoro, famiglia, amici, società civile ecc.) nei quali seguiamo una serie di “religioni sociali”, ovvero comportamenti che mettiamo in atto perché imposti dal contesto in cui ci troviamo, ma spesso e volentieri utilizziamo proprio queste consuetudini come scusanti o scappatoie per non accogliere l’invito al cambiamento suggerito da Gesù. Troppo difficile per l’uomo fidarsi, accettare il limite di non poter capire fino in fondo. Per avere una vita piena e che ci permetta di apprezzare il Soffio che è in ognuno di noi, dobbiamo compiere lo stesso cammino di Nicodemo, un cammino lungo una vita intera. Questa è la sfida che l’evangelista Giovanni propone anche a noi uomini del nostro tempo, perché quando Gesù risponde a Nicodemo in realtà lo sta facendo ad ognuno di noi. Non è un caso infatti che il termine greco usato per definire Nicodemo è άνϑρωπος, (“antropos”) cioè uomo.
Per entrare in una relazione autentica con Dio dobbiamo cambiare il modo di leggere il nostro vivere passando da una vita egocentrica basata sulle nostre certezze, abitudini, piena di “scusanti” ad una vita nella quale, sospinti dallo Spirito, ci affidiamo all’amore, accolto e donato gratuitamente come quello di Gesù Figlio, mandato da Dio per noi. In quel momento, come Nicodemo ai piedi della croce, potremo dire “mi fido”.
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La Maddalena, per noi, ha rappresentato prima di tutto una ricerca continua che non arriva mai a destinazione. E’ una ricerca che ricorda quella del Cantico dei Cantici: una ricerca ossessiva del proprio amato, che cerca, continua a cercare, continua a non trovare, e poi infine trova. La Maddalena si rivela nel suo ruolo di “sposa” che prende l’iniziativa di cercare Gesù, l’amato, anche se però lo cerca nel posto sbagliato. La condizione di Maddalena è quasi assurda: avrebbe riconosciuto Gesù morto, ma non riconosce Gesù vivo. Lei lo cerca nel sepolcro perché dovrebbe essere lì, ma non è in grado di riconoscerlo al di fuori di quello.
È la fede che manca a Maddalena, ma non solo a lei: manca anche alla Comunità. Maddalena infatti può essere paragonata anche a noi, Comunità in ricerca. Chi tra noi ha partecipato al pellegrinaggio in Terra Santa, ricorda che per la ricerca di Gesù siamo partiti proprio da quel sepolcro vuoto: come la Maddalena di fatto, abbiamo cercato Gesù tra i morti, perché è lì, nel sepolcro, che ci aspettavamo di trovarlo. E’ questo però l’errore della Comunità e della Maddalena stessa: cercare Gesù tra i morti, mentre in realtà lui è tra i vivi, è risorto. A Gerusalemme abbiamo capito che non possiamo cercare Gesù al sepolcro. E’ qui, allora, che riconosciamo in Maddalena una Comunità persa, e noi stessi persi, quando abbiamo bisogno di conferme perché incapaci di fiducia. La Chiesa stessa si perde se non cerca Gesù nella Parola, nella sua vita, ma invece nella morte.
L’atteggiamento della Maddalena, d’altra parte, è l’opposto di quello che ha fatto Maria, madre di Gesù: come donna di fede, non corre al sepolcro vuoto come la Maddalena, perché sa che non è lì che deve cercare Gesù. La Maddalena invece non ha fede, non ha fiducia, e quindi ha bisogno di andare al sepolcro. Maria al contrario non ha bisogno di vedere per credere.
Ci rendiamo conto dunque che serve un cammino per imparare ed arrivare a fidarsi. La Maddalena apre gli occhi quando alla fine quell’Uomo la chiama: pur avendo fatto un percorso, fino a quel momento forse non lo aveva capito. Quando lui la chiama per nome, è in quel momento che il percorso si rivela pieno di senso. Possiamo abituarci a riconoscere la voce di Gesù solo se stiamo facendo un cammino, in cui abbiamo occasione di sentirci chiamati per nome nella nostra vita di tutti i giorni.
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Tommaso è il personaggio di passaggio tra chi ha visto Gesù vivo e chi non lo ha visto perché è arrivato dopo. È davvero un personaggio di collegamento: il Vangelo di Giovanni è stato scritto dopo la morte di Gesù, quindi racconta di persone che non lo hanno conosciuto direttamente, oppure che lo hanno conosciuto attraverso il racconto di altri. In questo testo è scritto infatti che Tommaso aveva conosciuto Gesù da vivo in un modo, quindi per lui è difficile credere a chi dice di averlo visto diversamente, dopo la morte. In questo senso, Tommaso ha una reazione e un comportamento molto simile a quello che avremmo noi nella sua posizione. Rimaniamo quindi meno sorpresi quando scopriamo che il termine aramaico “Ta’oma” (Tommaso), tradotto in greco con “Didimo”, significa in italiano “Gemello”.
Tommaso è nostro gemello, che viene consumato da dubbi e perplessità che sentiamo di condividere. Tutte le testimonianze sono insufficienti al Tommaso che abita dentro ciascuno di noi. Noi non ci fidiamo di quello che ci dicono gli altri. Possiamo ascoltare la Parola, riunirci in assemblea, ma la fede pasquale della Chiesa non elimina le paure, le incertezze, le domande. Il Tommaso che era assente la prima sera è espressione di quella parte di comunità che a certo punto della vita prende le distanze dalla Chiesa, nonostante inizialmente fosse partita con grande entusiasmo.
L’invito però rimane quello di ritornare ogni ottavo giorno. Si ascolta la Parola, si spezza assieme il pane e soprattutto si continua a cercare. Non esistono esperienze “preconfezionate”, ciascuno di noi deve fare l’esperienza decisiva. Il Tommaso che ci viene presentato, pur rappresentando un modello indiscutibile, rimane pur sempre un uomo comune, che dopo essere stato irresistibilmente attratto da Gesù, dopo la sua crocifissione attraversa un periodo di difficoltà che lo porterà alla tentazione di staccarsi dal gruppo. Invece Tommaso resta fedele alla comunità, alla comunione e otto giorni dopo anche per lui arriva l’occasione dell’incontro.
Ci si è soffermati sull’idea di Tommaso come nostro “gemello”, ma si può riflettere anche su un altro significato di questa parola. Nell’immaginario comune, il termine “gemello” fa pensare subito al concetto di somiglianza: due gemelli si assomigliano e Tommaso può essere rappresentato come il “gemello” di Gesù. Tommaso è il discepolo che deve aspirare a diventare il gemello di Gesù, al punto da somigliargli come ad una goccia d’acqua. Ripetere i suoi gesti, diffondere la Sua Parola, portare avanti i Suoi insegnamenti… al punto tale che chi vedrà Tommaso vedrà il riflesso di Gesù. Ecco allora che noi, gemelli di Tommaso, siamo chiamati a diventare gemelli di Gesù. Prendendo il Suo messaggio come modello, la Fede ci porta ad assomigliargli. Come quando chi ama una persona tende ad imitarla, noi innamorati di Gesù diventiamo sua espressione e testimonianza.
AUTORI
Filippo Aloise, Sara Aloise, Nicolò Aloise, Arianna Bertani, Maria Chiara Bianchi, Giorgia Biselli, Caterina Bocchi, Pierluigi Bocchi, Ilaria Bolsi, Ilaria Bonfanti, Chiara Ciarmela, Davide Ciarmela, Nicole Codeluppi, Enrico Cugini, Francesca Dordoni, Patrizia Fanzaghi, Lorenzo Iapozzuto, Federico Larini, Emanuele Lazzari, Giovanni Levati, Andrea Manzini, Camilla Melegari, Aurora Miranda, Michela Monici, Stefano Peri, Chiara Salati, Samuele Salati, Laura Severgnini, Maurizio Silvestri, Andrea Quintavalla, Chiara Zambelloni, Enrico Zambelloni, Roberta Zanni.
REDAZIONE
Giorgia Biselli, Ilaria Bonfanti, Chiara Ciarmela, Davide Ciarmela, Francesca Dordoni, Federico Larini, Aurora Miranda, Andrea Quintavalla, Chiara Salati, Laura Severgnini, Chiara Zambelloni.
1 Il verbo utilizzato in greco è ὁράω (“orao”) ossia vedere con il cuore, comprendere, conoscere. Quando Gesù “vede” viene sempre utilizzato il verbo “orao” perché il Signore vede in profondità nelle persone dal primo sguardo.
2 Il verbo utilizzato qui invece in greco è βλέπω (“blepo”) ossia vedere con gli occhi. Dopo essersi andato a lavare, il cieco vede per la prima volta, ma ancora non ha compreso, non si fida. Questo verbo verrà sempre usato in tutto il brano quando il cieco “vede”, fino agli ultimi versetti.
3 Obbedire dal latino “ob-audio”, cioè ascolto, essere in ascolto, dipendere da un ascolto.
4 Per la prima volta il cieco utilizza il verbo greco πιστεύω (“pisteuo”), ossia affidarsi. Ha compiuto il suo cammino di fede fino ad arrivare a fidarsi di quell’Uomo.
5 Sinedrio traducibile con il termine “Assemblea”, era l’organo che aveva il compito di amministrare la vita religiosa, giuridica ed economica degli ebrei. Poteva emettere sentenze di morte, che tuttavia dovevano essere sottoposte al consenso dei romani. Il Sinedrio non formulava leggi, ma si occupava di far rispettare la Torah – unica legge per gli ebrei.
6 Gesù risponde a Nicodemo per tre volte con l’incipit “Amen Amen” (“in verità, in verità…”) che la tradizione biblica attribuisce alle affermazioni che si ritengono di grande importanza e sulle quali vuole richiamare l’attenzione.
7 La Festa delle Capanne è la festa ebraica che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto. È una delle tre feste di pellegrinaggio prescritte nella Torah, feste durante le quali gli ebrei dovevano recarsi al Santuario a Gerusalemme.
8 “Rabbunì” era un termine ebraico che veniva utilizzato anche dalla sposa per chiamare il suo innamorato, il suo sposo. Maria riconosce Gesù dal timbro della sua voce, la voce di qualcuno che la ama.
9 Nel linguaggio biblico, gli episodi che avvengono di sera, di notte, al buio indicano che il personaggio protagonista è in uno stato di poca chiarezza.
10 L’evento si svolge nel primo giorno della settimana, “quel giorno”, ossia il giorno iniziale dell’esperienza della Chiesa che si riunisce per cercare il Signore
11 Didimo/“δίδυμος” è il termine greco che significa “Gemello”
12 Otto giorni dopo: nel giorno della settimana dedicato al Signore,l’Ottavo giorno, la Comunità si riunisce di nuovo.
13 Al contrario di quanto è comune pensare, Tommaso non toccherà mai le ferite di Gesù per poter credere
14 Nel testo greco è utilizzato il termine πιστεύω o“pisteuo” (= fidarsi), molto più parlante e denso di significato di “credere”. “Pisteuo” si colloca nel punto più alto della scala dei verbi connessi al vedere, utilizzati anche in questo racconto, per cui anche nella vicenda di Tommaso si parte dal semplice “βλέπω o blepo” (= vedere con gli occhi), per evolvere in “ὁράω o orao” (= vedere col cuore, in profondità) e, solo alla fine, in “pisteuo”.