PREFAZIONE (Apri la versione PDF)
Da “Libro che parla di Dio” a “Libro che parla dell’uomo” il cammino non è breve.
Mi sono ormai fatto la convinzione – spero motivata – che un vero lettore della Bibbia possa giungere al cuore delle Scritture quando la sua ricerca di Dio sfocia nella scoperta che, di fatto, è Dio che cerca l’uomo.
Occorre, per questo, dotarci di strumenti idonei, nuovi, diversi da quelli che ci hanno indicato e abbiamo cercato di utilizzare nel passato.
Il Concilio Vaticano II ci invita a riportare la Parola al centro delle nostre vite. Quando ci ritroviamo, la Domenica, per celebrare il Risorto, sempre dobbiamo tener presente questo: il nostro è un ritrovarci attorno a due Mense: la Parola (Ambone) e il Pane (la Tavola).
È questa la Parola che anima, illumina, guida il nostro cercare. Scrivono questi Ragazzi: «La Bibbia però non offre un messaggio definitivo o comunque non lo presenta in modo esplicito: richiede quindi lettori intelligenti, attivi».
Questo Quaderno 2° ne è una riprova: questi Giovani, continuando il loro indagare sulle Scritture, stanno da tempo approdando e riflettendo su quanto di più umano, più problematico, l’uomo sperimenta: l’esperienza del limite. È una riflessione a più voci. Proprio per questo molto interessante. Ci consegnano, tra le altre, anche questa perla: «Questo costante desiderio di superamento del limite è quindi insito nella natura umana o è la società che lo crea?».
Sono una bella speranza, non solo per la nostra Comunità.
Ascoltiamoli!
d Nando, 2 ottobre 2022, XXIX della Dedicazione
Dal Libro della Genesi:
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata - perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto la regione di Avìla, dove si trova l'oro e l'oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d'onice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutto la regione d'Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate.
Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l'uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse:
«Questa volta è osso dalle mie ossa,
carne dalla mia carne. La si chiamerà donna,
perché dall'uomo è stata tolta».
Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».
Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».
Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna:
«Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno». Alla donna disse:
«Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli.
Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà».
All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non devi mangiarne,
maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché non ritornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».
L'uomo chiamò sua moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.
Il Signore Dio fece all'uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì. Poi il Signore Dio disse: «Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all'albero della vita.
INTRODUZIONE
In questi anni di percorso di studio della Parola con Don Nando, noi gruppo dei giovani ci siamo scontrati in modo ricorrente con un tema in particolare: il limite. L’abbiamo incontrato per la prima volta anni fa, durante i “Cammini di Umanizzazione” e ogni anno, con ogni nuovo tema, l’argomento del limite tornava e con esso il come fosse possibile vederlo come un’occasione di crescita, anche senza doverlo per forza superare.
Quest’anno ci siamo concentrati su alcune domande fondamentali, che si trovano nei primi undici capitoli di Genesi. Le domande affrontate, come per esempio “Perché l’uomo e la donna si cercano?” o “Perché il male nel mondo?” sono sempre state ricorrenti nell’esistenza dell’uomo, ma in questo quaderno ci concentreremo su un’altra domanda, che ha infinite sfaccettature: Perché il limite?
Perché è proprio con un limite che parte la storia dell’uomo e da sempre ognuno di noi lo incontra nella propria vita. Come facciamo però a vedere il limite come possibilità, come occasione, come crescita?
Genesi 1-11 sono i capitoli iniziali della Bibbia, redatti durante l’esilio in Babilonia e contengono la riflessione dei sapienti d’Israele: lo scopo è di rispondere agli interrogativi maturati nei secoli precedenti, tramandati oralmente, esplosi poi durante il difficile periodo della schiavitù babilonese. La Bibbia è nata in esilio, per chi sa di essere in esilio, schiavo di “faraone”, con poche certezze e molti dubbi.
Questi racconti biblici appartengono ormai alla storia e alla letteratura dell’intera umanità: il serpente, Adamo ed Eva, Caino e Abele, l’Arca, Noè, il diluvio, la torre di Babele. Il loro obiettivo è di ridare speranza ad un popolo in difficoltà: come si può recuperare la speranza se non cercando di individuare le tracce misteriose di Dio e rendendosi conto che la Storia è il “luogo” in cui Lui cerca l’umano per realizzare un progetto? Sembrano storielle, eppure hanno dentro gli stessi dubbi e le stesse domande che ancora accompagnano l’uomo e la donna nostri contemporanei.
Nei capitoli 2 e 3 di Genesi, dopo la Creazione, Dio si accorge che l’uomo, che ha creato e plasmato, è solo ed indifferenziato. Allora cerca di risolvere il problema creando per prima cosa gli animali; ma dopo che l’uomo ha dato loro un nome, si accorge che questo nuovo rapporto non basta, non è una vera relazione. Dio allora, dall’uomo (“Ish”) crea la donna (“Ishà”), l’alterità umana, e la dona all’uomo. L’intervento di Dio vuole essere un soccorso, un aiuto: senza il Suo intervento per cambiare la situazione, l’uomo sarebbe rimasto nella solitudine che è ciò che porta alla morte.
Adamo ed Eva si trovano quindi uno di fronte all’altra, vicini in modo da mettersi in relazione, a confronto, ma anche da affrontarsi. Il loro rapporto è nato nel torpore, nella mancanza di coscienza (Adamo dormiva mentre la donna veniva creata), quindi i due non conoscono la loro origine e non sanno spiegarsi perché sono diversi; in più il fatto che Eva sia una parte rimossa da Adamo sottolinea la mancanza di integrità; uno non può essere il tutto, ma solo un lato dell’umano.
Questa doppia mancanza è una condizione indispensabile per la relazione e questo dono di Dio è essenziale per la vita, ma solo se è accompagnato dall’accettazione del limite.
Il limite tuttavia non verrà poi rispettato, perché l’uomo e la donna si lasceranno tentare dalla bramosia, rappresentata nel racconto biblico dal serpente.
All’inizio del testo, Dio fa un dono enorme all’uomo (“di TUTTI gli alberi mangerai”), e l’uomo può e deve approfittarne: su questo sfondo, viene però messo un limite al godimento, con il divieto di mangiare dell’albero della vita e della conoscenza. Il limite viene stabilito in modo chiaro per l’uomo, perché rifiutarlo è per esso mortifero: se l’uomo occupa tutto lo “spazio”, anche quello dell’altro, non potrà avere nessun tipo di relazione, e senza relazioni non c’è vita.
Dio mette dei limiti per proteggere la vita e l’armonia: se venissero a mancare, il desiderio si trasformerebbe in bramosia, un desiderio non strutturato e invadente su tutto. Nel giardino dell’Eden uomo e donna incontrano proprio la materializzazione della bramosia: il serpente, il “nahash”, un animale “astuto” (parola che in ebraico significa anche “nudo”), che rappresenta l’animalità dentro ognuno di noi. Non è infatti un animale esterno che tenta Eva, ma la bramosia stessa dentro di lei, il suo animale interiore che le fa superare il limite che Dio aveva imposto. Il nahash dentro Eva le fa dubitare che il limite sia una cosa positiva, ma la fa concentrare sulla mancanza che questo limite le porta, la fa sospettare dell’altro, facendolo passare da partner a rivale. La spinge, e di conseguenza spinge Adamo, a desiderare di conoscere tutto e raggiungere una felicità “divina”, godendo di tutti gli alberi. Se l’uomo non impara a dominare il caos che ha dentro (bramosia, gelosia, rifiuto del limite) compromette il proprio avvenire e rischia di realizzarsi non a immagine di Dio ma ad immagine dell’animale.
La Bibbia però non offre un messaggio definitivo o comunque non lo presenta in modo esplicito: richiede quindi lettori intelligenti, attivi.
QUALI SONO I DIVERSI TIPI DI LIMITE?
La nostra riflessione parte dai versetti di Genesi 2, 15-18: “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”.
La prima considerazione che emerge è che questo comando che viene da Dio sembra l’unica cosa su cui si riescono a concentrare Adamo ed Eva, dimenticando che tutto nel giardino è accessibile, tranne l’albero della conoscenza. Questa limitazione può essere vista come un ordine minaccioso (“Se mangi il frutto, morirai!”) oppure come un aiuto, una messa in guardia (“Ci tengo a te, per questo ti dico: attento! Facendo quella cosa potresti morire”). Anche per via dell’intervento del serpente, i due, pur essendo nel giardino dell’Eden, non riescono ad apprezzare quello che hanno, ma si fissano sulla mancanza, sul divieto di mangiare di quell’albero. La difficoltà sta nel leggere questa dualità del limite: in base a come ci viene comunicato, siamo noi che lo leggiamo in modo diverso.
Se ci viene presentato senza spiegazioni e lo percepiamo quindi in modo “imperativo”, siamo portati a vederlo come una costrizione, e quindi a volerlo superare a tutti i costi. Se ci è comunicato e lo percepiamo in modo più “educativo”, siamo più portati ad accettarlo, perché lo leggiamo come un’attenzione nei nostri confronti. Con i giusti strumenti riusciamo a cogliere che quello che l’animale dentro di noi legge come un male, una minaccia, una limitazione alla nostra libertà, è in realtà un aiuto, un motivo per apprezzare di più quello che abbiamo: quello di Dio viene visto ad una prima lettura come un obbligo, un comando che devo rispettare, che ci limita, e quindi percepisco il limite come un male.
Ad esempio, quando si parla di Cristianesimo e della necessità di partecipare all’Eucarestia, la prima risposta alla domanda “Perchè non vieni a messa?” è il rifiuto di dover rispettare dei comandi che vengono imposti. Questa è l’immagine che si ha di Dio. In realtà è tutto il contrario, è un problema di lettura e di comprensione: il frequentare la parrocchia spesso è visto come un obbligo, e non come un’occasione dove si compie un cammino di Umanizzazione, ma per vederla in questo modo c’è bisogno di un lungo percorso. È difficile trovare anche nella Chiesa persone che ci parlino di un Dio accogliente, è più facile sentir parlare di un Dio che castiga e questo sicuramente spaventa e allontana.
Un altro aspetto su cui il testo di Genesi ha portato la nostra riflessione è che se il limite viene posto internamente, dalla persona stessa o piuttosto viene imposto dall’esterno (società, altre persone…) la reazione sarà diversa. E’ probabile che se il limite viene da fuori lo si veda più come un’imposizione. Se invece il limite deriva da una paura o un’idea, un atteggiamento che personalmente ci poniamo, saremo più probabilmente portati a cercare di superarlo per poterci migliorare. Ciononostante, anche in questo caso, una lettura più attenta di Genesi ci fa riflettere: è stato veramente il serpente, cioè qualcosa di esterno, che ha attirato Adamo ed Eva verso quell’albero? O forse il serpente, l’animale accovacciato dentro ciascuno di noi, è solo un modo per spiegare che la sfida arriva sempre da dentro l’uomo stesso?
Partendo dal testo di Genesi, possiamo affermare quindi che il limite è insito nella natura umana. La domanda che ci poniamo tuttavia è: ci sono dei limiti che vanno superati? Quali limiti è positivo che gli uomini e la società sconfiggano? Tanti sono i momenti nella storia dell’umanità di limiti apparentemente insuperabili che uomini coraggiosi hanno infranto, creando nuovi orizzonti. Esempi ne sono il superamento delle Colonne d’Ercole, i viaggi spaziali, le scoperte scientifiche, ecc.
L’uomo ha sempre avuto dentro di sé questa sfida interna a confrontarsi con il limite, soprattutto quando in competizione con gli altri. La difficoltà è quella di capire quale limite va accettato e quale invece può essere superato per crescere. Possiamo portare vari esempi di situazioni di vita quotidiana in cui ci siamo ostinati a superare un limite per poi scoprirci più infelici e insoddisfatti di prima. Nonostante ciò l’uomo cerca costantemente di eliminare tutti i suoi limiti, anche quando non devono essere superati, perché quando scompaiono, ci sembra di avvicinarci sempre di più alla sensazione di essere onnipotenti.
Questa riflessione ci ha portato infine a chiederci come viviamo il nostro essere limitati. Un approccio scorretto ci porta al desiderio, alla bramosia e alla menzogna, non ci fa accettare che il limite c'è ed è evidente. Ci lascia spesso soli e il voler superare un limite può diventare unica ragione di vita. Può diventare ragione per disperarsi e per invadere lo spazio degli altri. Più conosciamo i nostri limiti e impariamo ad accettarli, più riusciremo a vivere in armonia con noi stessi e gli altri, come esseri umani.
Il limite è un’occasione di libertà. Davanti ad ogni scelta siamo liberi di prendere la nostra decisione.
COME È PERCEPITO IL LIMITE NELLA SOCIETÀ?
Un celeberrimo slogan pubblicitario nato negli anni '70, creato per commercializzare un famoso orologio e ancora utilizzato ai giorni nostri, recita: “Sector, no limits”. Un ancor più nota marca di abbigliamento sportivo, nel 2004 ha lanciato il motto “Adidas, impossible is nothing”. Sono solo due esempi, banali se vogliamo, che però mostrano piuttosto chiaramente quale concezione del limite è prevalente nella cultura di massa.
Nella società contemporanea, quindi, potremmo considerare fallito chi non volesse superare un limite che sembra insuperabile? Un escluso chi ad esempio non volesse vivere per sempre? Nella realtà che frequentiamo, nella società in cui viviamo, come è valutato il limite?
Fin da quando siamo bambini e in molti contesti diversi dell’età adulta, ci sentiamo spesso ripetere che non dobbiamo porci limiti, ma che dobbiamo “puntare sempre più in alto”. Così è nel lavoro, nello studio, nello sport… Ci viene ripetuto costantemente di provare a fare meglio ed affrontare gli ostacoli per cercare di oltrepassarli. Se volessimo portare avanti una concezione di limite come qualcosa che dobbiamo invece accettare serenamente, potremmo essere accusati del fatto che accettare il limite significa accontentarsi. Nella società di oggi c’è la certezza che se ci domandiamo come affrontare la mancanza di qualcosa, la risposta sarà “Non arrenderti, continua a provare!”. In sintesi, siamo continuamente portati ad un superamento del limite.
Questa impostazione è tipica di una società improntata sul modello “capitalistico”. In ogni istante c’è qualcuno che ci propone direttamente o indirettamente qualcosa di nuovo da acquistare per non farci sentire “limitati”, che non ci lascia neanche il tempo per fermarci, per stare da soli o per apprezzare quello che abbiamo. La società ci mostra una felicità che cresce nel comprare prodotti per farci sentire appagati solo possedendoli, creando bisogni per cose di cui in realtà potremmo benissimo fare a meno.
E qui entra in gioco il concetto di bramosia, quel desiderio non strutturato, ma invadente su tutto. La bramosia è la maggior parte delle volte invogliata da un fattore esterno, ma può nascere anche da una sensazione interna, che si scopre nel mettersi a confronto e nel desiderare quello che hanno gli altri. Siamo talmente concentrati sul nostro obiettivo “bramoso”, che spesso non vediamo e non valorizziamo tutto quello che già abbiamo o possiamo avere.
L'analogia con il brano di Genesi è evidente: la società assomiglia molto al serpente che invita a mangiare del frutto, facendo uscire la parte animale di noi, che quando comprende di avere un limite, tende a volerlo eliminare. Anche Eva si ritrova a desiderare quello che in fin dei conti potrebbe non essere nemmeno il frutto più buono del giardino dell'Eden. Qui emerge la sua bramosia, che il serpente sfrutta per mettere Dio contro l'uomo, in quella che diventa così una relazione sbagliata, fatta di menzogne.
Questo costante desiderio di superamento del limite è quindi insito nella natura umana o è la società che lo crea?
Aprendo i giornali, troviamo raramente notizie positive o che ci fanno apprezzare gli obiettivi che, come singoli uomini e donne o come comunità, abbiamo raggiunto. Ci sono notizie che ci fanno pensare di non aver fatto abbastanza, di dover andare oltre, portandoci a vedere i limiti come non sostenibili. Un qualsiasi limite a quel punto ci consumerà, fino a quando non riusciremo a superarlo, nonostante questa non sarà, quasi certamente, la soluzione per arrivare alla felicità. La concezione del limite come qualcosa in cui possiamo trovare ancora tante possibilità di vita bella è difficile da prendere in considerazione.
La vita, infatti, ci mette davanti alla necessità di intraprendere il duro percorso di conoscere i nostri limiti e imparare ad accettarli. È inevitabile incontrare il limite. Se ci troviamo davanti ad un ostacolo come il voler comprare una macchina nuova e non potersela permettere, possiamo più facilmente imparare a stare bene anche senza. Se la vita invece ce ne impone di più pesanti, come per esempio l’impossibilità di concepire un figlio, si deve imparare a vivere una vita bella anche sotto quel limite ed è difficilissimo! È qui che sta lo scontro più grosso con la società moderna, che ci vuole convincere che “qualsiasi sia il limite, si potrà superare” e se non lo superiamo non potremo essere felici.
A questo punto, viene spontaneo porsi questa domanda: “Ma quindi, i messaggi che la società di oggi ci propone, sono tutti sbagliati?”. Dipende, è necessario capire che la società ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Da una parte ci dà delle regole che possono limitare le nostre attività, come quelle della scuola o del lavoro: sono limiti che sono stati creati da altri, dal contesto che ci circonda e magari a volte sono da superare per crescere. La società può avere il compito di abituare le persone ad avere delle limitazioni ed a farle scontrare con questo concetto. Se un bambino fin da piccolo ha delle regole, entro queste regole impara a convivere. Se una persona non ha mai avuto dei limiti, non impara a rispettarli e non saprà mai stare in relazione con gli altri nella società stessa.
Oggi il limite è visto come se fosse una minaccia di morte ed ogni volta che si parla di limite, il concetto tende ad essere ingigantito. La prima a farlo è Eva, che rispondendo al serpente, travisa le parole di Dio; secondo Eva non solo non possono mangiare dell’albero, ma non possono nemmeno toccarlo.
La società aumenta le nostre insicurezze, le paure di quello che c’è oltre il limite, quello che non conosciamo, l’ignoto: lo pensiamo come un’imposizione perché in realtà ci fa paura. Ed è questa paura che ci ha abituati a non mettere in discussione la società, non mettere in discussione noi stessi e quindi ad accettare tutti questi desideri che ci vengono imposti, perdendo però l’”umano”. La crisi interna che molte persone vivono riflette la società in cui viviamo. Riflette anche il fatto che per nascondere le nostre difficoltà ci concentriamo su altri obiettivi inutili.
L’uomo avrebbe bisogno di percorsi di umanizzazione per capire effettivamente quali sono i suoi limiti. Noi che seguiamo questi percorsi possiamo ritenerci fortunati: nella società di oggi non ci sono tante occasioni per riflettere su noi stessi e per crescere ma, con i giusti strumenti e con la volontà necessaria, possiamo ritagliarci momenti in cui guardarci dentro e accettare i nostri limiti.
Il confrontarsi con il limite è, a volte, uno stimolo a migliorarci, ma come ci insegnano i sapienti di Genesi, le limitazioni che ognuno di noi ha, sono doni.
L’ALTRO È UN LIMITE PER ME?
“E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo»” (Gn, 2, 18)
L’uomo per sua natura cerca l’altro: è una necessità che sperimentiamo quotidianamente, è la nostra esperienza umana stessa che ci porta sempre a cercarci. Questo tipo di necessità viene affrontata già in Genesi 2 quando, dopo la creazione dell’uomo, Dio si accorge che l’uomo ha necessità di qualcuno che gli corrisponda: non è bene infatti che egli sia solo nella vita, nelle scelte, nella relazione.
D’altra parte, la relazione1[1] costituisce una delle esperienze più profondamente umane, una delle esperienze principali in cui abbiamo occasione di sperimentare il limite. Spesso infatti proprio nelle relazioni ci scopriamo bramosi, perché vogliamo possedere, controllare, ossia “dare un nome” a ciò che ci circonda. Vogliamo riunire le due metà di una mela perchè noi ci sentiamo solo una delle due parti, incompleti: ma non potremo riottenere l’intero, perché siamo fatti per stare uno di fronte all’altro, non per completarci!
Ci scopriamo fragili, perché non vogliamo rivelare i nostri momenti di difficoltà e non vogliamo farci vedere nella nostra interiorità, con le nostre debolezze. Percepiamo continuamente la difficoltà dell’essere messi in discussione.
Nella relazione ci scopriamo inoltre egoisti, perché percepiamo lo spazio dell’altro non come un dono, ma come una privazione, prima di tutto dei propri spazi. Con la relazione sperimentiamo la difficoltà dell’accettare l’altro nella sua fragilità, mentre tendenzialmente la nostra prima reazione è sempre quella di sentirsi superiori e giudicare.
Questi aspetti si ritrovano esattamente in Genesi, per esempio quando il Signore riflette sul fatto che “Non è bene che l’uomo sia solo” e cerca di risolvere questa situazione creando gli animali, e l’uomo reagisce dando loro un nome.
A questo punto Dio capisce che questo non è sufficiente per liberare l’uomo dalla condizione di solitudine in cui si trova, perché questo “dare un nome” è solo un tentativo di controllo e di dominio.
Operando dunque in una condizione di torpore, di buio per l’uomo (quindi uno stato in cui è impossibile comprendere o avere il controllo), Dio separa l’uomo e la donna, quindi l’uomo si scopre limitato per sua natura e comprende di non poter essere un intero senza una relazione con l’altro. Inoltre, essendo stati creati in una condizione di torpore, l’uomo e la donna non possono sapere ogni cosa l’uno dell’altra, né come sono stati creati, né esattamente dove sta il limite di ciascuno e perché sono diversi.
Questa doppia mancanza è una condizione indispensabile all’alterità e alla relazione, che costituiscono un dono per l’umanità. L’uomo tuttavia fa estremamente fatica a cogliere il valore di questo dono, mentre manifesta piuttosto atteggiamenti di natura negativa (bramosia, menzogna, possesso) in cui egli vive la sua massima esperienza del limite.
Adamo stesso, quando il Signore gli presenta la donna, le dà subito un nome, come aveva fatto poco prima con gli animali: “La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta” (in ebraico: Donna = “Ishà”, Uomo = “Ish”).
Nell’espressione “È stata tolta” percepiamo subito la privazione, il limite, non il dono. Adamo parla inoltre come se sapesse, ma la donna è stata creata mentre l’uomo era nella “notte”, quindi in una condizione completamente opposta dal poter essere “inquadrata” in uno schema di controllo umano.
Questi aspetti che descrivono la prima reazione dell’uomo al dono dell’alterità, mostrano sicuramente la tragicità delle esperienze di limite per l’uomo, ma dall’altra parte rivelano l’immensità del dono di Dio all’umanità, dono che per essere compreso e apprezzato necessita dell’accettazione del limite.
Tornando alla nostra esperienza quotidiana, sperimentiamo in ogni tipo di relazione la difficoltà ad avere la pazienza sia di conoscere l’altro, sia del concedere noi stessi, di aprirci, di consentire agli altri di conoscerci. È molto più semplice (e comporta meno tempo e fatica) catalogare immediatamente (= il “dare un nome” di Adamo) e colmare uno spazio, anziché lasciarlo ben presente, vivo e parlante. Ma è proprio in questo spazio che ha speranza di collocarsi quell’alterità dialogante! Quel continuo spingersi verso l’altro senza prevaricare, che implica anche fare un passo indietro, aspettare, riconoscere e accettare i propri limiti e quelli dell’altro. Quel “mettersi di fronte” che consente di conoscersi sempre di più, arricchire la propria esperienza e crescere insieme.
Questo tipo di processo è fondamentale affinché noi, uomo o donna, abbiamo la possibilità di conoscerci in maniera più profonda.
Se ci guardiamo allo specchio infatti, abbiamo speranza di vedere un’immagine il più possibile completa solo se non vediamo unicamente noi stessi, ma ci vediamo in relazione con l’altro, in quanto prima di tutto la presenza dell’altro ci mette davanti ad osservazioni che da soli non considereremmo. Questo richiede una presa di coscienza e un dialogo aperto tra i due interlocutori che potrebbero avere basi diverse e svilupparsi in contesti diversi, ognuno infatti ha la propria esperienza e il proprio vissuto che non coincidono con quello dell’altro. Il confronto dialogante continua ad avere potenzialità di arricchimento perché offre l’occasione di sperimentare novità, qualcosa oltre il mio spazio e la mia sazietà. In questo dà la possibilità di crescere come persone Umane, perché sottintende una ricerca.
L’invito che la Parola ci rivolge quindi, attraverso testi antichissimi come Genesi, è estremamente attuale, valido in ogni dinamica di relazione: si tratta dell’invito a continuare a cercare. Un lavoro di ricerca costante, non solo quando sentiamo una mancanza, ma che ci coinvolge completamente e ci mette alla prova, ci renderà predisposti e pronti ad accogliere i doni che ne possono derivare.
In questa ricerca fatta di fiducia, ritroviamo come modello l’uomo Gesù che, nonostante la fatica e il dubbio, ci ha insegnato con la sua vita ad avere il coraggio di non fermarci. Ci ha insegnato che continuare a scoprire tante cose su di noi e sull’Altro ci fa apprezzare sempre di più questo dono che è la relazione e il fatto di vivere una vita piena di significato, una vita “bella”.
L’UOMO PUO’ VIVERE SENZA LIMITI?
Parlando di limiti è impossibile non fare riferimento a quello per antonomasia, il limite della morte, che ci è dato in dotazione con la nascita, talmente grande da essere una delle poche cose certe della vita. L’essere umano ha da sempre avuto un rapporto molto particolare con la morte. La possibile sofferenza e la paura dell’ignoto, unite ad un estremo istinto di sopravvivenza, hanno portato l’uomo ad agognare quanto di più sfuggente ci sia: superare il limite insormontabile o, in altre parole, vivere per sempre. È però necessario prendere consapevolezza della nostra natura: siamo esseri fatti di materia organica biologicamente deperibile e soggetta ad essere consumata nel tempo. Nonostante gli innumerevoli tentativi dell’uomo nella storia di vincere il limite estremo, cercando una soluzione che lo facesse vivere per sempre, dobbiamo arrenderci all’evidenza: l’uomo invecchia ed è destinato a morire.
… O forse no?
L’avanzamento tecnologico compie passi da gigante, così come la genetica, la microrobotica e l’intelligenza artificiale. Oggi i trapianti di organi, le protesi meccaniche, i pacemaker sono realtà con cui l’uomo è abituato ad interfacciarsi, ma che fino a poche decine di anni fa erano considerati pura fantascienza. Estremizzando questo concetto è possibile immaginare che in un futuro più o meno lontano, l’essere umano sarà in grado di sostituire sempre più parti del suo corpo con componenti meccaniche, più durevoli nel tempo rispetto al materiale organico: il nostro cervello non invecchierà perché saremo in grado di sostituirlo con computer e connessioni elettroniche, avremo una memoria infallibile e un corpo non soggetto alle leggi del tempo. Senza rendercene conto incominceremo ad assomigliare a dei robot e la differenza tra uomo e macchina sarà sempre più sottile, fino a quasi scomparire. Questa è la filosofia del transumanesimo. Si tratta di un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana. L’Homo sapiens sapiens non è altro che un tassello evolutivo intermedio, precedente al successivo e più perfezionato trans-umano, ovvero oltre l’umano.
Tuttavia, tralasciando le evidenti problematiche che si riscontrerebbero sulla fattibilità del progetto transumanista, siamo veramente sicuri che un individuo completamente modificato e privato della sua corporeità fatta di carne e ossa possa comunque essere definito un essere umano?
Se effettivamente arriveremo a superare il limite massimo, nessun altro limite sarà irraggiungibile: diventeremo invincibili, anzi, diventeremo onnipotenti mettendoci quindi sullo stesso piano di Dio. Questo non avrà solo conseguenze per la nostra vita, ma anche sui nostri rapporti: se due persone sono onnipotenti e non hanno limiti, non hanno più bisogno di nulla, quindi come fanno a mettersi in relazione?
Quale valore daremmo alla vita se non conoscessimo la morte?
Lo scoprirsi fragili di fronte ad un rapporto verrà meno se a mettersi uno di fronte all’altro sono due individui onnipotenti: nessuno dei due sarà disposto a cedere, nessuno dei due ha bisogno dell’altro e con una comunicazione a senso unico ci sarà la totale assenza di dialogo e si entrerà in guerra. Infine, la non precarietà della vita farà perdere sapore ad ogni tipo di esperienza, e il rischio concreto è quello di condurre un’esistenza vuota, riempiendo di giorni la vita ma non riempiendo di vita le giornate.
Viene quindi da chiedersi, è realmente questo ciò che vogliamo? Una vita senza morte – una vita senza limiti – può davvero renderci felici?
A ben pensare inoltre le proposte transumaniste rispondono ad un’esigenza costante dell’uomo: mirano ad evitare il limite, non ad affrontarlo. La morte infatti non si fronteggia mai, semplicemente si evita, posticipandola lontano nel tempo, ad un punto che idealmente non verrà mai raggiunto. La finitudine e la morte non sono assunti come tratti inevitabili della condizione umana, ma sono ridotte ad essere degli ostacoli da aggirare attraverso l’ingegno.
Alla filosofia transumanista, che promette un’immortalità fallace e fragile, si contrappone invece il credo cristiano. L’accettazione della condizione umana non consisterebbe qui in un’immortalità quantitativa, ma piuttosto in un’immortalità qualitativa. L’incarnazione di Cristo, infatti, assume su di sé – senza rigettarle o eliminarle – sia la finitudine che la mortalità umane, dimostrando così come esse non siano affatto delle carenze o delle imperfezioni da eliminare.
Ripercorrendo gli ultimi momenti della vita di Gesù si scopre che anche Lui era un uomo e in quanto tale aveva paura della morte, ma pur non rimanendo indifferente di fronte ad essa, è rimasto fedele al suo pensiero e anche quando avrebbe avuto la possibilità, non ha tradito, non ha rinnegato le sue parole, non è fuggito, ma ha attraversato il buio uscendone vincitore. La proposta cristiana quindi ci invita, con l’esempio di Cristo, ad affrontare ed accettare i nostri limiti, facendone un punto di forza, perché sono proprio questi limiti a dare luce e significato alla vita. Tutta l’esistenza di Gesù trova senso davanti alla sua (straordinaria) accettazione del suo essere uomo, anche e soprattutto davanti al limite umano più imponente.
L’invito più sincero è quindi quello di fare nostri i limiti propri della natura umana e, grazie ad essi, riconoscerci veri uomini e vere donne.
IL LIMITE È UN’OCCASIONE?
Abbiamo osservato dunque che il limite è solitamente considerato negativamente: è un'imposizione, un ostacolo, una barriera. Tuttavia è possibile vedere il limite anche in chiave positiva: esso può spronare, può far crescere e addirittura può dare valore proprio a ciò che limita.
Abbiamo visto che nella società è estremamente presente un’accezione negativa del limite: tutto ciò che ci circonda sembra dirci “Non hai fatto abbastanza”, “Non sei abbastanza”, “Devi fare di più”.
Abbiamo incontrato il limite anche nelle relazioni, in cui sentiamo spesso che lo spazio dell’altro limita il nostro: ci scopriamo bramosi di voler possedere l’altra persona e allo stesso modo fragili, con le nostre debolezze esposte al giudizio e alle critiche altrui. Quello che facciamo fatica ad accettare è il continuo spingerci verso l’altro senza prevaricare, il saper fare un passo indietro, l'accettare i propri limiti e quelli dell’altro che ci consente di conoscerci sempre di più, di arricchire la nostra esperienza e di crescere insieme.
Il limite può essere proprio lo stimolo che ci sprona a metterci in gioco. Se parliamo di limiti personali, il limite diventa un’occasione di crescita, perché se superato in maniera sana e consapevole ci permette di migliorarci. Se l’uomo non avesse limiti, non avrebbe motivo per crescere.
E quando i limiti non sono superabili? Possiamo solo provare ad accettarli e arrivare, con il tempo, persino ad apprezzarli: è necessario accettare il fatto che i limiti esistono e talvolta sono insormontabili. Non possiamo lasciare che questi ci distruggano, ma anzi, possiamo utilizzarli per crescere, se non superandoli allora accettando che fanno parte di noi.
E’ importante arrivare all’accettazione dei limiti perché prima o poi tutti li incontreremo: nessuno è onnipotente, anzi prima ci accorgiamo che i nostri limiti esistono, prima impareremo a conoscerli e a farci i conti; solo accettandoli riusciremo a vivere una vita piena e realizzata. Il limite esiste non per punirci, ma per farci vivere una vita felice e consapevole: ci fa capire meglio chi siamo e saremo veramente felici solo quando impareremo ad amare il vuoto che abbiamo dentro. Accettare il limite vuol dire libertà. Dio non impone un limite, ma ci lascia liberi di scegliere.
Davanti a un limite è normale che il primo desiderio sia quello di superarlo. Bisogna però capire che l’accettazione del limite ci può dare tanto altro e aggirare l’ostacolo, al contrario, ci può far perdere tante cose. Questo può fare paura, ma è la nostra occasione di crescita più grande. Se vogliamo vivere una vita bella, dobbiamo anche imparare ad accettare i limiti e a saperli apprezzare. Questo ci sembra molto difficile, a volte perfino impossibile da capire. Passare da un’accezione negativa ad una positiva del limite non è semplice. Se ci pensiamo tuttavia, è proprio in virtù di quei limiti che la vita assume valore: mettendosi a confronto con i propri limiti, l’uomo crea la relazione con sé stesso e con gli altri, e visto che l’uomo non potrebbe vivere senza relazioni, egli quindi non può vivere senza limiti.
Quante volte ci soffermiamo nel guardare il limite che ci troviamo davanti e dimentichiamo di valorizzare tutto ciò che già abbiamo?
Pensiamo al limite ultimo, la morte: non è forse proprio la morte che dà senso alla vita? In una vita immortale, ogni momento avrebbe meno valore, sarebbe solo un infinito susseguirsi di giorni senza un senso. Se avessimo illimitato tempo a disposizione probabilmente rimanderemmo sempre tutto: la bellezza di momenti irripetibili, il tempo prezioso che ci è dato passare con le persone che amiamo, tutto perderebbe di significato. Certo, una vita immortale ci permetterebbe di guadagnare in quantità, ma probabilmente ci farebbe perdere in qualità.
L’uomo moderno vuole porsi come giudice, porsi al posto di Dio, pensando di conoscere già tutto: il percorso che viene presentato da Cristo a differenza di quello della scienza dell’immortalità, del transumano, è lungo e complesso, non dà un risultato immediato, ma è una continua sfida e ricerca, che spesso ci porta a sentirci dei falliti, sconfitti davanti ai nostri limiti. Persino Gesù ha scelto di attraversare la morte, di accettare il limite insito nella vita umana anziché sfuggirgli e quell’accettazione ha dato senso a tutto quello che ha fatto prima. Quando andiamo a rileggere ciò che ha fatto, riusciamo a vedere che lo ha fatto proprio con questo approccio, quello di accettare tale limite. Gesù di Nazareth si pone come esempio anche per noi.
In quest’ottica il limite appare dunque necessario all’uomo. Il limite umanamente inteso è ciò che può dare significato alla nostra vita. Il percorso di Fede, di Umanizzazione ci insegna che il limite è occasione di crescita. Questo è un percorso molto lungo, dove è necessario tempo e impegno. Vorremmo che il limite non ci fosse, vorremmo poterlo sempre superare, ma se osservato meglio notiamo che esso è veramente un dono ed è ciò che valorizza la nostra esistenza.
Salmo 129
Canto delle ascensioni.
Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica. Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore. Io spero, Signore.
Spera l’anima mia, attendo la sua Parola.
L'anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle l'aurora.
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia e grande con lui la redenzione.
Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.
AUTORI
Filippo Aloise
Nicolò Aloise
Sara Aloise
Arianna Bertani
Chiara Bertoldi
Giorgia Bersellini
Giorgia Biselli
Caterina Bocchi
Pierluigi Bocchi
Ilaria Bolsi
Ilaria Bonfanti
Benedetta Caggiati
Camilla Caggiati
Chiara Ciarmela
Davide Ciarmela
Nicole Codeluppi
Francesca Dordoni
Patrizia Fanzaghi
Benedetta Franceschi
Luca Gabbi
Mehari Haile
Lorenzo Iapozzuto
Camilla Larini
Federico Larini
Emanuele Lazzari
Maria Giovanna Levati
Ilaria Maini
Andrea Manzini
Camilla Melegari
Giuseppe Mendicino
Aurora Miranda
Michela Monici
Stefano Peri
Lara Piemontese
Andrea Quintavalla
Chiara Salati
Samuele Salati
Laura Severgnini
Chiara Zambelloni
Enrico Zambelloni
Roberta Zanni
[1] Con “relazione” intendiamo non solo quella amorosa di coppia, ma anche affettiva, di amicizia o comunque una qualsiasi relazione interpersonale significativa che implica reciproco rispetto, condivisione di obiettivi ed esperienze.